Sep. 10th, 2011
Day 5: Your character is getting ready in the morning. Write a scene of their morning (or even mid day) routine.
Titolo: Un nuovo incarico
Fandom: Originale - Moscow Chronicles
Pairing: slash
Rating: safe
Warning: slash
Wordcount: 883
Riassunto: “Dove?” chiese solo Il'ya, preparandosi al peggio.
“Francia” sogghignò Sofia “e sembra che sia una roba urgente, perciò comincia a preparare le valigie, mio caro Il'ya Nikolaevich”. Il'ya imprecò a mezza voce, e la donna rise, continuando la sua strada verso l'ufficio di Dima.
Note: Missing moment di una fic mai esistita.
La prima cosa che Il'ya fa ogni mattina, quasi prima di spegnere la sveglia è controllare l'ora. Gli è capitato ben più di una volta di svegliarsi di soprassalto alle 3 del mattino, o di dover correre al lavoro dopo essersi attardato a letto fino alle 10 passate perchè Dimitrij si era messo a smanettare con il suo cellulare mentre lui era occupato a fare altro.
Quella mattina per fortuna erano solo le sei. Avrebbe potuto dormire ancora una mezz'oretta, ma tutto sommato non era drammatico; poteva rinunciare a mezz'ora di sonno. Ne avrebbe approfittato per prepararsi con un po' più di cura. Dima era sempre lì a criticarlo per come i suoi capelli facevano quello che volevano anche quando Il'ya faceva di tutto per impedirglielo. Non era colpa sua, se si arricciavano solo sulle punte.
Si alzò, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito alla differenza di temperatura della stanza rispetto al calore confortante delle coperte, si infilò gli occhiali e mise su la caffettiera. Niente robaccia solubile, per lui. Caffè italiano, come suo padre insisteva da quando era nato. Quella caffettiera era stato il suo regalo, quando il figlio gli aveva annunciato che si sarebbe trasferito a Mosca in pianta stabile, e Il'ya la conservava gelosamente come se fosse stata un oggetto prezioso.
Mentre il caffè saliva, Il'ya fece un doccia e scelse rapidamente gli abiti che avrebbe messo quel giorno: una camicia, un paio di pantaloni, una giacca -la fondina della pistola. Niente di troppo formale, niente di eccessivamente scomodo, niente di troppo casual. Niente di ricercato, in ogni caso. Si vestì e si sistemò i capelli, cercando di sistemare le ciocche ribelli appiattendole all'indietro. Tirò fuori da un cassetto la leggera Glock 18, posandola sul tavolo per non dimenticarsela. Si versò una tazza di caffè, diluendolo con un po' di latte e zuccherandolo eccessivamente. Raccolse il cellulare, lo infilò nella borsa, mise la pistola sotto la giacca. Diede un'occhiata in giro alla ricerca di eventuali fogli -si era portato il lavoro a casa anche la sera prima, tanto per cambiare i conti non tornavano mai- e finì di sistemarli nella valigetta. Versò il resto del caffè in un piccolo thermos, che finì a sua volta nel suo piccolo bagaglio. A riordinare ci avrebbe pensato dopo. Al mattino non faceva mai in tempo, e comunque non ne aveva voglia.
Chiuse la porta, scese in tutta fretta le scale. Corse per prendere l'autobus, riuscì ad arrampicarcisi all'ultimo secondo. Non era nemmeno troppo pieno, quel giorno. Dal finestrino, osservò Mosca che cominciava ad animarsi, mentre passanti e turisti rabbrividivano per le strade che si sarebbero riempite di lì a poco. Scese alla fermata, e salutò la donna che vendeva fiori all'angolo. Corse. Non era in ritardo, ma gli andava di correre. La Glock 18 gli batteva scomodamente su un fianco.
Si fermò con un leggero fiatone davanti al portone degli uffici di casa Doholochov. Gli era capitato di dover andare a sistemare gli archivi interni della residenza vera e propria, ma non era quello il caso. Era più un quartier generale che altro, con il lavoro in cui la famiglia era specializzata, ma comunque l'eufemismo gli si adattava piuttosto bene, in quanto era pieno di cartacce d'ufficio. Era un bell'edificio, quadrato, con un cortile interno in cui spesso Dima e vari parenti passavano il tempo a sfruttarlo come poligono di tiro illegale. Il'ya ogni tanto si chiedeva perchè nessuno di loro era ancora stato spedito in carcere. Poi alla fine del mese gli arrivava un assegno in busta chiusa sulla scrivania, diligentemente indirizzato a Il'ya Nikolaevich Karatev nella calligrafia minuta e spigolosa di Dimitrij.
Salì al terzo piano, dove Sofia lo accolse con un ghigno piuttosto malvagio e soddisfatto sventolandogli un pacchetto di carta gialla sotto il naso. Il'ya gemette internamente. Dima aveva ottenuto un lavoro. Nuovo lavoro, nuova trasferta, nuove spese, nuovi scontrini, nuova contabilità. Contando anche il fatto che di solito Dima se lo trascinava dietro spesso e volentieri, tutta quella roba andava moltiplicata per due, anche se normalmente Il'ya cercava di mantenere un profilo basso per non impattare troppo sulla cassa dei Doholochov -non che avessero problemi economici. Probabilmente Dima aveva già fiutato il nuovo incarico e stava già dilapidando milioni in olio minerale per la manutenzione dei suoi adorati fucili.
“Dove?” chiese solo Il'ya, preparandosi al peggio.
“Francia” sogghignò Sofia “e sembra che sia una roba urgente, perciò comincia a preparare le valigie, mio caro Il'ya Nikolaevich”. Il'ya imprecò a mezza voce, e la donna rise, continuando la sua strada verso l'ufficio di Dima.
Il'ya percorse gli ultimi metri di corridoio con passo pesante, completamente spogliato della sua vitalità, almeno per quella mattina. Si stava già preparando psicologicamente al faticoso viaggio che lo aspettava. Una trasferta imprevista portava con sé un mucchio di lavoro extra, perchè qualunque cosa a cui Il'ya stesse lavorando in questo momento andava finita prima della partenza, e altre cose si sarebbero accumolate mentre lui era via. Lo aspettava una settimana di appostamenti e rincorse -e questo nella migliore delle ipotesi- e un mese da incubo nei tentativi di rimettersi in pari con il lavoro arretrato.
Entrò nel proprio ufficio, appoggiò la valigetta sulla scrivania, infilò la pistola nel cassetto -il peso dell'arma sotto l'ascella lo infastidiva mentre cercava di archiviare i documenti- e si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro.
Sarebbe stata una lunga giornata.
Titolo: Un nuovo incarico
Fandom: Originale - Moscow Chronicles
Pairing: slash
Rating: safe
Warning: slash
Wordcount: 883
Riassunto: “Dove?” chiese solo Il'ya, preparandosi al peggio.
“Francia” sogghignò Sofia “e sembra che sia una roba urgente, perciò comincia a preparare le valigie, mio caro Il'ya Nikolaevich”. Il'ya imprecò a mezza voce, e la donna rise, continuando la sua strada verso l'ufficio di Dima.
Note: Missing moment di una fic mai esistita.
La prima cosa che Il'ya fa ogni mattina, quasi prima di spegnere la sveglia è controllare l'ora. Gli è capitato ben più di una volta di svegliarsi di soprassalto alle 3 del mattino, o di dover correre al lavoro dopo essersi attardato a letto fino alle 10 passate perchè Dimitrij si era messo a smanettare con il suo cellulare mentre lui era occupato a fare altro.
Quella mattina per fortuna erano solo le sei. Avrebbe potuto dormire ancora una mezz'oretta, ma tutto sommato non era drammatico; poteva rinunciare a mezz'ora di sonno. Ne avrebbe approfittato per prepararsi con un po' più di cura. Dima era sempre lì a criticarlo per come i suoi capelli facevano quello che volevano anche quando Il'ya faceva di tutto per impedirglielo. Non era colpa sua, se si arricciavano solo sulle punte.
Si alzò, lasciandosi sfuggire un piccolo gemito alla differenza di temperatura della stanza rispetto al calore confortante delle coperte, si infilò gli occhiali e mise su la caffettiera. Niente robaccia solubile, per lui. Caffè italiano, come suo padre insisteva da quando era nato. Quella caffettiera era stato il suo regalo, quando il figlio gli aveva annunciato che si sarebbe trasferito a Mosca in pianta stabile, e Il'ya la conservava gelosamente come se fosse stata un oggetto prezioso.
Mentre il caffè saliva, Il'ya fece un doccia e scelse rapidamente gli abiti che avrebbe messo quel giorno: una camicia, un paio di pantaloni, una giacca -la fondina della pistola. Niente di troppo formale, niente di eccessivamente scomodo, niente di troppo casual. Niente di ricercato, in ogni caso. Si vestì e si sistemò i capelli, cercando di sistemare le ciocche ribelli appiattendole all'indietro. Tirò fuori da un cassetto la leggera Glock 18, posandola sul tavolo per non dimenticarsela. Si versò una tazza di caffè, diluendolo con un po' di latte e zuccherandolo eccessivamente. Raccolse il cellulare, lo infilò nella borsa, mise la pistola sotto la giacca. Diede un'occhiata in giro alla ricerca di eventuali fogli -si era portato il lavoro a casa anche la sera prima, tanto per cambiare i conti non tornavano mai- e finì di sistemarli nella valigetta. Versò il resto del caffè in un piccolo thermos, che finì a sua volta nel suo piccolo bagaglio. A riordinare ci avrebbe pensato dopo. Al mattino non faceva mai in tempo, e comunque non ne aveva voglia.
Chiuse la porta, scese in tutta fretta le scale. Corse per prendere l'autobus, riuscì ad arrampicarcisi all'ultimo secondo. Non era nemmeno troppo pieno, quel giorno. Dal finestrino, osservò Mosca che cominciava ad animarsi, mentre passanti e turisti rabbrividivano per le strade che si sarebbero riempite di lì a poco. Scese alla fermata, e salutò la donna che vendeva fiori all'angolo. Corse. Non era in ritardo, ma gli andava di correre. La Glock 18 gli batteva scomodamente su un fianco.
Si fermò con un leggero fiatone davanti al portone degli uffici di casa Doholochov. Gli era capitato di dover andare a sistemare gli archivi interni della residenza vera e propria, ma non era quello il caso. Era più un quartier generale che altro, con il lavoro in cui la famiglia era specializzata, ma comunque l'eufemismo gli si adattava piuttosto bene, in quanto era pieno di cartacce d'ufficio. Era un bell'edificio, quadrato, con un cortile interno in cui spesso Dima e vari parenti passavano il tempo a sfruttarlo come poligono di tiro illegale. Il'ya ogni tanto si chiedeva perchè nessuno di loro era ancora stato spedito in carcere. Poi alla fine del mese gli arrivava un assegno in busta chiusa sulla scrivania, diligentemente indirizzato a Il'ya Nikolaevich Karatev nella calligrafia minuta e spigolosa di Dimitrij.
Salì al terzo piano, dove Sofia lo accolse con un ghigno piuttosto malvagio e soddisfatto sventolandogli un pacchetto di carta gialla sotto il naso. Il'ya gemette internamente. Dima aveva ottenuto un lavoro. Nuovo lavoro, nuova trasferta, nuove spese, nuovi scontrini, nuova contabilità. Contando anche il fatto che di solito Dima se lo trascinava dietro spesso e volentieri, tutta quella roba andava moltiplicata per due, anche se normalmente Il'ya cercava di mantenere un profilo basso per non impattare troppo sulla cassa dei Doholochov -non che avessero problemi economici. Probabilmente Dima aveva già fiutato il nuovo incarico e stava già dilapidando milioni in olio minerale per la manutenzione dei suoi adorati fucili.
“Dove?” chiese solo Il'ya, preparandosi al peggio.
“Francia” sogghignò Sofia “e sembra che sia una roba urgente, perciò comincia a preparare le valigie, mio caro Il'ya Nikolaevich”. Il'ya imprecò a mezza voce, e la donna rise, continuando la sua strada verso l'ufficio di Dima.
Il'ya percorse gli ultimi metri di corridoio con passo pesante, completamente spogliato della sua vitalità, almeno per quella mattina. Si stava già preparando psicologicamente al faticoso viaggio che lo aspettava. Una trasferta imprevista portava con sé un mucchio di lavoro extra, perchè qualunque cosa a cui Il'ya stesse lavorando in questo momento andava finita prima della partenza, e altre cose si sarebbero accumolate mentre lui era via. Lo aspettava una settimana di appostamenti e rincorse -e questo nella migliore delle ipotesi- e un mese da incubo nei tentativi di rimettersi in pari con il lavoro arretrato.
Entrò nel proprio ufficio, appoggiò la valigetta sulla scrivania, infilò la pistola nel cassetto -il peso dell'arma sotto l'ascella lo infastidiva mentre cercava di archiviare i documenti- e si lasciò cadere sulla sedia con un sospiro.
Sarebbe stata una lunga giornata.
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