Jan. 27th, 2014
Title: I don't know what kind of blues I've got
Fandom: Layton Brothers: Mystery Room
Pairing: none
Rating: Safe
Warning: Spoilers: file 009
Wordcount: 1000
Summary: Non credeva che vestirsi per andare a lavoro sarebbe stato tanto problematico. Più fissava quei completi e più gli sembrava di avere un armadio pieno di scheletri, invece che pieno di vestiti.
Post Jigsaw Puzzle Serial Murdering.
Note:Fill per il COWT4, missione d'attacco a Taygete (prompt: tempo, 1000w esatte)
Il suo armadio era pieno di completi. Alcuni erano gessati, altri no. Alcuni avevano l'aria di essere indossati molto spesso, altri meno. I colori predominanti erano il nero e il grigio scuro, ma ce n'era anche uno di un ricco verde foresta, talmente intenso e scuro che sembrava inghiottire la luce. I suoi cassetti erano pieni di camicie. Aveva solo tre cravatte.
Non credeva che vestirsi per andare a lavoro sarebbe stato tanto problematico. Più fissava quei completi e più gli sembrava di avere un armadio pieno di scheletri, invece che pieno di vestiti. Non era neanche la prima volta che ci provava, quella settimana. Ma ogni volta che apriva quello stupido armadio, la sua risoluzione scemava e finiva per passare tutto il giorno in pigiama, riordinando distrattamente le cartelle di casi archiviati che ingombravano il suo soggiorno da prima della sua permanenza in ospedale e bevendo quantità industriali di tè leggero (il dottore gli aveva vietato sostanze eccitanti per almeno un paio di settimane; anche il tè tecnicamente rientrava nella categoria, ma Alfendi stava spudoratamente fingendo di non esserne al corrente).
Non che ci si aspettasse di riaverlo nel suo ufficio tanto presto; sia Hilda che Justin che il Commissario gli avevano raccomandato più di una volta di riposarsi, di starsene tranquillo, di prendersi tutto il tempo che gli serviva per riprendersi del tutto. Solo perchè era uscito dall'ospedale non voleva dire che fosse guarito. Era decisamente presto per tornare al lavoro, non dopo tutto quel tempo passato in coma. Scotland Yard del resto non era esattamente il posto adatto ad uno che si era appena ripreso da una ferita d'arma da fuoco come quella. Gli avevano detto che ci era mancato poco, che era stato davvero un miracolo che fosse sopravvissuto, con tutto il sangue che aveva perso.
Quel giorno però doveva essere il giorno. Era una settimana che stava a casa a far niente. Cominciava a sentirsi irrequieto. Avrebbe voluto andare al lavoro anche senza l'opprimente presentimento che lo stava mandando fuori di testa da una settimana.
All'inizio si era goduto la quiete dell'appartamento, finalmente a casa, senza infermiere che lo disturbavano regolarmente per cambiargli le lenzuola, per rifargli le fasciature, per portargli i pasti, per accompagnare i visitatori, per portargli le medicine. Ben presto però aveva cominciato a percepire qualcosa di strano.
All'inizio pensava che fosse qualcosa di strano nell'appartamento. Aveva chiamato Justin giusto per sincerarsi che nessuno avesse operato cambiamenti durante la sua assenza, ma l'ispettore lo aveva rassicurato che avevano lasciato tutto com'era, fino all'ultima tazza incrostata di caffè. In effetti neanche il posacenere era stato svuotato, e traboccava di cicche di sigaretta. Aveva comunque deciso di ispezionare con attenzione tutto l'appartamento, senza trovare niente di sospetto. Era stato allora che aveva aperto l'armadio per la prima volta da quando era tornato; non c'era niente di strano neanche lì dentro, aveva solo provato il forte impulso di levarsi l'ordinata schiera di completi da davanti gli occhi e si era limitato a chiudere l'anta. Forse con un po' più forza del necessario.
Aveva deciso allora che probabilmente era la stanchezza. Era molto tempo che non tornava a casa. L'ospedale e il periodo di coma avevano probabilmente sconvolto i suoi ritmi e le sue routine, al punto che tornare a casa gli era sembrato strano. Non appena si fosse riabituato al caro vecchio ambiente familiare, la sensazione sarebbe sparita. Era solo una questione di tempo.
Era passata una settimana e la paranoia non era ancora sparita. Aveva fatto del suo meglio per ignorarla, aveva paura di esaminarla troppo da vicino, anche se la tentazione era forte, maledetta la sua deformazione professionale. Era piuttosto convinto che la sua testa stesse facendo tutto da sola senza il suo permesso, e che avesse già formulato un'ipotesi, ma finchè non la prendeva in considerazione coscientemente era libero di ignorarla, giusto? Di questi tempi non era sicuro di avere il controllo sulla propria mente, per qualche motivo.
Era per questo che aveva deciso di riprendere in mano le redini sulla propria vita, di costringersi a rimettersi sulla buona strada. Aveva puntato la sveglia, si era alzato puntuale, aveva messo su il caffè e aveva aperto l'armadio, deciso a vestirsi e andare al lavoro.
Ma il suo armadio era pieno di completi, e i suoi cassetti erano pieni di camicie e non c'erano abbastanza cravatte, e qualcosa nella mente di Alfendi doveva essersi rotto con un brutto, orrendo, chiassoso fragore, perchè Alfendi ricordava di averli comprati, ricordava di averli ricevuti ma non ricordava perchè-
perchè non era lui che indossava i completi, non era a lui che Hilda aveva regalato quella camicia viola, non era lui che aveva guardato con quel sorriso che lasciava intendere un sacco di cose, non era a lui che Justin aveva regalato una cravatta ogni anno sperando di vedergliela addosso, per poi sbuffare divertito quando Alfendi si rifiutava di metterle, perchè Alfendi-
perchè Alfendi era sceso in ciabatte con un malditesta martellante che cercava di sfondargli una tempia e solo una giacca leggera addosso, troppo leggera per quel freddo terribile che gli si infilava nelle pieghe e nel colletto, e il commesso del negozio lo guardava perplesso da sopra la cassa mentre Al frugava nel portafoglio e a fatica tirava fuori il denaro per pagare, il maglione piegato accuratamente sul bancone, le dita che tremavano incontrollabilmente, e nessuna idea di come fosse arrivato fino a lì.
Eppure, uscito sul marciapiede con il suo acquisto in una borsa di plastica, si sentiva stranamente calmo. Anche se il suo cuore batteva all'impazzata, come dopo una folle corsa. Anche se la paura si aggrovigliava nel suo stomaco come un nido di serpenti. La sua mente era fredda, lucida, e Alfendi, dopo una settimana passata ad ignorare la strada più semplice alla risoluzione dello stesso caso che si era commissionato, finalmente capì e rise amaramente.
Era ironico che il loro ultimo caso avesse avuto come principale protagonista un puzzle, perchè l'unico pezzo che non si incastrava nell'intero quadro che aveva sotto agli occhi era proprio lui.
Fandom: Layton Brothers: Mystery Room
Pairing: none
Rating: Safe
Warning: Spoilers: file 009
Wordcount: 1000
Summary: Non credeva che vestirsi per andare a lavoro sarebbe stato tanto problematico. Più fissava quei completi e più gli sembrava di avere un armadio pieno di scheletri, invece che pieno di vestiti.
Post Jigsaw Puzzle Serial Murdering.
Note:
Il suo armadio era pieno di completi. Alcuni erano gessati, altri no. Alcuni avevano l'aria di essere indossati molto spesso, altri meno. I colori predominanti erano il nero e il grigio scuro, ma ce n'era anche uno di un ricco verde foresta, talmente intenso e scuro che sembrava inghiottire la luce. I suoi cassetti erano pieni di camicie. Aveva solo tre cravatte.
Non credeva che vestirsi per andare a lavoro sarebbe stato tanto problematico. Più fissava quei completi e più gli sembrava di avere un armadio pieno di scheletri, invece che pieno di vestiti. Non era neanche la prima volta che ci provava, quella settimana. Ma ogni volta che apriva quello stupido armadio, la sua risoluzione scemava e finiva per passare tutto il giorno in pigiama, riordinando distrattamente le cartelle di casi archiviati che ingombravano il suo soggiorno da prima della sua permanenza in ospedale e bevendo quantità industriali di tè leggero (il dottore gli aveva vietato sostanze eccitanti per almeno un paio di settimane; anche il tè tecnicamente rientrava nella categoria, ma Alfendi stava spudoratamente fingendo di non esserne al corrente).
Non che ci si aspettasse di riaverlo nel suo ufficio tanto presto; sia Hilda che Justin che il Commissario gli avevano raccomandato più di una volta di riposarsi, di starsene tranquillo, di prendersi tutto il tempo che gli serviva per riprendersi del tutto. Solo perchè era uscito dall'ospedale non voleva dire che fosse guarito. Era decisamente presto per tornare al lavoro, non dopo tutto quel tempo passato in coma. Scotland Yard del resto non era esattamente il posto adatto ad uno che si era appena ripreso da una ferita d'arma da fuoco come quella. Gli avevano detto che ci era mancato poco, che era stato davvero un miracolo che fosse sopravvissuto, con tutto il sangue che aveva perso.
Quel giorno però doveva essere il giorno. Era una settimana che stava a casa a far niente. Cominciava a sentirsi irrequieto. Avrebbe voluto andare al lavoro anche senza l'opprimente presentimento che lo stava mandando fuori di testa da una settimana.
All'inizio si era goduto la quiete dell'appartamento, finalmente a casa, senza infermiere che lo disturbavano regolarmente per cambiargli le lenzuola, per rifargli le fasciature, per portargli i pasti, per accompagnare i visitatori, per portargli le medicine. Ben presto però aveva cominciato a percepire qualcosa di strano.
All'inizio pensava che fosse qualcosa di strano nell'appartamento. Aveva chiamato Justin giusto per sincerarsi che nessuno avesse operato cambiamenti durante la sua assenza, ma l'ispettore lo aveva rassicurato che avevano lasciato tutto com'era, fino all'ultima tazza incrostata di caffè. In effetti neanche il posacenere era stato svuotato, e traboccava di cicche di sigaretta. Aveva comunque deciso di ispezionare con attenzione tutto l'appartamento, senza trovare niente di sospetto. Era stato allora che aveva aperto l'armadio per la prima volta da quando era tornato; non c'era niente di strano neanche lì dentro, aveva solo provato il forte impulso di levarsi l'ordinata schiera di completi da davanti gli occhi e si era limitato a chiudere l'anta. Forse con un po' più forza del necessario.
Aveva deciso allora che probabilmente era la stanchezza. Era molto tempo che non tornava a casa. L'ospedale e il periodo di coma avevano probabilmente sconvolto i suoi ritmi e le sue routine, al punto che tornare a casa gli era sembrato strano. Non appena si fosse riabituato al caro vecchio ambiente familiare, la sensazione sarebbe sparita. Era solo una questione di tempo.
Era passata una settimana e la paranoia non era ancora sparita. Aveva fatto del suo meglio per ignorarla, aveva paura di esaminarla troppo da vicino, anche se la tentazione era forte, maledetta la sua deformazione professionale. Era piuttosto convinto che la sua testa stesse facendo tutto da sola senza il suo permesso, e che avesse già formulato un'ipotesi, ma finchè non la prendeva in considerazione coscientemente era libero di ignorarla, giusto? Di questi tempi non era sicuro di avere il controllo sulla propria mente, per qualche motivo.
Era per questo che aveva deciso di riprendere in mano le redini sulla propria vita, di costringersi a rimettersi sulla buona strada. Aveva puntato la sveglia, si era alzato puntuale, aveva messo su il caffè e aveva aperto l'armadio, deciso a vestirsi e andare al lavoro.
Ma il suo armadio era pieno di completi, e i suoi cassetti erano pieni di camicie e non c'erano abbastanza cravatte, e qualcosa nella mente di Alfendi doveva essersi rotto con un brutto, orrendo, chiassoso fragore, perchè Alfendi ricordava di averli comprati, ricordava di averli ricevuti ma non ricordava perchè-
perchè non era lui che indossava i completi, non era a lui che Hilda aveva regalato quella camicia viola, non era lui che aveva guardato con quel sorriso che lasciava intendere un sacco di cose, non era a lui che Justin aveva regalato una cravatta ogni anno sperando di vedergliela addosso, per poi sbuffare divertito quando Alfendi si rifiutava di metterle, perchè Alfendi-
perchè Alfendi era sceso in ciabatte con un malditesta martellante che cercava di sfondargli una tempia e solo una giacca leggera addosso, troppo leggera per quel freddo terribile che gli si infilava nelle pieghe e nel colletto, e il commesso del negozio lo guardava perplesso da sopra la cassa mentre Al frugava nel portafoglio e a fatica tirava fuori il denaro per pagare, il maglione piegato accuratamente sul bancone, le dita che tremavano incontrollabilmente, e nessuna idea di come fosse arrivato fino a lì.
Eppure, uscito sul marciapiede con il suo acquisto in una borsa di plastica, si sentiva stranamente calmo. Anche se il suo cuore batteva all'impazzata, come dopo una folle corsa. Anche se la paura si aggrovigliava nel suo stomaco come un nido di serpenti. La sua mente era fredda, lucida, e Alfendi, dopo una settimana passata ad ignorare la strada più semplice alla risoluzione dello stesso caso che si era commissionato, finalmente capì e rise amaramente.
Era ironico che il loro ultimo caso avesse avuto come principale protagonista un puzzle, perchè l'unico pezzo che non si incastrava nell'intero quadro che aveva sotto agli occhi era proprio lui.
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