Jul. 31st, 2012
Titolo: A Rain'verse
Fandom: X-Men: First Class
Pairing: Charles Xavier/Erik Lehnsherr, others
Rating: PG15
Warning: AU, dystopian future, sci-fi stuff.
Wordcount: 3671
Riassunto: Anno 2962. Nonostante la pioggia corrosiva, la vita è rimasta intatta negli Alveari. Nuova realtà, nuovi problemi, nuovi sogni.
Note: WIP. Longfic.
Part I - The Beehive
Chapter I
L'Epidauro, nonostante fosse un'ala dell'Ospedale, non sembrava per niente un luogo in cui la malattia e la morte facevano visita continuamente. Forse perchè di fatto non accadeva; i pazienti della cui morte Charles aveva avuto esperienza erano talmente pochi che potevano essere facilmente contati sulle dita delle mani, e quello che l'aveva colpito più violentemente era stato solo il giovanissimo Sebastian, a cui era stata somministrata per errore una dose di sonnifero troppo abbondante -un errore umano che aveva condotto ad un'orribile tragedia. Tutti gli Orfei che avevano qualche potere psionico ne avevano risentiti gli strascichi per settimane, e per Charles era stato la prima persona che avesse sentito morire, tanto più che Sebastian era stato uno dei suoi pazienti; quando Charles, che all'epoca era ancora ai suoi primi giorni nell'Epidauro, aveva sentito i sogni del ragazzo spegnersi uno ad uno come la fiamma di una candela, e si era reso conto di quello che stava succedendo, si era messo a piangere nel bel mezzo del reparto, schiacciato dalla sua impotenza di fronte alla morte. L'Ipno in carica allora aveva avuto così tanta pena per lui che era stata lei stessa a consolarlo, stringendolo a sé finchè non si fu calmato. Anche a lui era capitato di dover consolare gli Orfei più giovani, quando un paziente moriva per qualche motivo, ma ogni volta che capitava Charles non poteva fare a meno di sentirsi come il giovane Orfeo inesperto che era stato quel giorno.
Per fortuna la maggior parte dei giorni -o meglio, delle notti- trascorrevano pacifiche e tranquille, interrotte ogni tanto solo dalle urla di qualcuno che si svegliava da un incubo, coperto di sudore e disorientato, che veniva immediatamente riaccompagnato dolcemente sui quieti sentieri del sonno. Ogni Orfeo aveva una sua tecnica per aiutare i suoi pazienti: la maggior parte degli Orfei umani lavoravano anche nell'Ospedale e si limitavano a prescrivere narcotici, mentre altri erano versati nell'arte dell'ipnosi, e ben pochi ricorrevano ai metodi familiari all'infanzia, con i repertori di ninnananne e favole della buonanotte -Charles non avrebbe mai finito di stupirsi davanti alla loro efficiacia-; tutti gli altri Orfei erano mutanti con qualche capacità particolare di influenzare la mente.
Charles camminava tranquillamente tra i letti dei suoi protetti, ascoltando il mormorio rilassante delle loro menti addormentate, spingendo dolcemente verso il sonno quelle che stavano cominciando a riaffiorare nella veglia.
Adorava particolarmente la porzione di Epidauro riservata ai suoi pazienti, perchè era stato lui ad arredarla; dal momento che passavano quasi metà della loro giornata nel dormitorio dove lavoravano, a ognuno degli Orfei che aveva uno spazio autonomo era concessa la libertà di sceglierne il tipo di arredamento, e Charles aveva scelto letti comodi, tappeti, pareti dipinte a sfumature caldi e rassicuranti.
Charles, percepì improvvisamente un pensiero nitido tra le menti perse in soffice torpore intorno a lui. Era Hank.
Qualche problema? chiese Charles, spingendo il pensiero in direzione del medico, mentre si dirigeva verso di lui. Ben presto fu nel suo campo visivo, e Charles internamente si accigliò: indossava un camice.
« Credevo di aver espressamente detto di preferire un abbigliamento quanto meno ufficialmente medico, nel mio reparto, Hank. I miei ospiti non lo apprezzano, e credo di avertelo accennato ben più di un paio di volte. » lo rimproverò quando fu a portata di orecchio, cercando di mantenere la voce ferma ma non sgradevole. A Charles piaceva pensare al suo reparto come un luogo di pace e tranquillità: la realtà era abbastanza dura, fuori dalla porta dell'Epidauro.
Hank si sistemò gli occhiali a disagio, mentre frugava all'interno della tasca del maledetto camice alla ricerca di qualcosa. Ne pescò un foglietto spiegazzato su cui erano scarabocchiate decine e decine di calcoli.
« Questa paziente- » esordì
« Ospite » lo corresse Charles.
« Questa ospite » concesse Hank, spiegazzando ancora di più il foglietto « Il dosaggio che le ho prescritto sembra non fare alcun effetto, ma una dose maggiore potrebbe ucciderla. Ho provato a sintetizzare un narcotico alternativo, ma probabilmente la sua mutazione la rende resistente a qualche componente del composto. Quale, non saprei dire, non ho avuto tempo di controllare... »
« Ha avuto problemi di insonnia prima d'ora? » chiese Charles, prelevando con discrezione alcune informazioni sulla paziente dalla mente di Hank, dopo aver dato l'equivalente telepatico di un colpetto per chiedere permesso. Era un'Operaia, addetta alla distribuzione dei vestiti, in uno dei settori più centrali dell'Alveare. Era bellissima; la sua mutazione aveva dato alla sua pelle un brillante colore verde, e delle scaglie molto sottili dall'aria fragile, ma che in realtà erano molto resistenti. A giudicare dal ricordo che Hank aveva di lei, doveva essere una persona piuttosto fiera e cocciuta. Charles sorrise: gli ricordava qualcuno.
« Ha detto di no. Qualche difficoltà ad addormentarsi, come tutti, ma non le è mai capitato di dormire così male. Ha preferito farsi ricoverare per questa notte e per le prossime due successive, almeno per recuperare un po' di sonno. » rispose Hank, pratico come sempre. A Charles non piacevano i Dottori dell'Accademia che si occupavano dell'Epidauro, perchè ai suoi occhi giocare con la chimica del cervello appariva come una caccia al buio, e gran parte delle morti nel loro reparto erano causate da errori commessi da loro; ma Hank era terribilmente intelligente, e raramente faceva l'errore di sperimentare una droga di cui non era sicuro al duecento per cento.
« Capisco. Immagino che tu abbia già informato l'Ipno. » suppose Charles inarcando un sopracciglio. Hank annuì, e Charles riprese: « Dille che se lo desidera è benvenuta nel mio reparto dell'Epidauro. Ha qualche problema con i telepati? »
« Non credo. Non sarei venuto a chiedere a te, ti pare? »
Charles sorrise. « Hai ragione. Che ore sono? »
« Le sei e mezzo passate, penso. Forse quasi le sette. »
« Temo che la nostra ospite dovrà accontentarsi delle amorevoli cure di Jane, per ora. Il mio turno è quasi finito, e onestamente credo di aver bisogno di una bella dormita anche io. Lo spazio c'è, se era quello che ti preoccupava. »
Hank si risistemò gli occhiali per l'ennesima volta -Charles captò nella sua mente un distratto promemoria di farli riparare decentemente- « Non ero preoccupato; onestamente non capisco perchè tu non faccia turni più lunghi, Charles. Scusami se ti dico che non credo che tu sia veramente così stanco da aver veramente bisogno di dormire: so per certo che voi telepati avete un tipo di affaticamento diverso da quello di chi non è dotato di una mente psionica, e il sonno nel vostro caso non aiuta particolarmente. »
Charles si indurì leggermente a quella affermazione. « Lo sai perfettamente perchè, Hank. »
« Nessuno merita la Cupola quanto te, Charles. » ribattè il medico, rinfilandosi il foglietto di carta ormai martoriato nella tasca.
« E nessuno merita di venire con me quanto Raven, Hank. » disse Charles seccamente, concludendo la discussione.
Charles sapeva che Hank non provava veramente del risentimento verso Raven. Era l'Alveare che provocava il risentimento, come sempre; la mente umana era fragile, e non poteva fare altro che dirigere la colpa nel luogo più vicino. Charles vedeva i pensieri di Hank dipanarsi davanti a lui come nastri di seta, aggrovigliati e sfilacciati: vedeva il timido amore che Hank provava nei confronti di Raven, vedeva la rabbia di non poter indulgere in quel sentimento, la paura di essere respinto se avesse solo tentato di avvicinarla, la consapevolezza di quanto fosse pericoloso per entrambi, se veramente avessero finito per intraprendere una relazione, e -Charles lo trovò vagamente esilarante- il biasimo per se stesso perchè si permetteva di distrarsi dietro certe cose.
« Ad ogni modo, goditi il meritato riposo, Charles. » cedette Hank, lasciando cadere l'argomento.
« Grazie. Dovresti cercare di riposare anche tu. »
« Non posso. Sto sperimentando su me stesso un nuovo tipo di farmaco... dovrebbe ridurre l'affaticamento e rendere la mancanza di sonno più sopportabile. » spiegò Hank, senza aspettare che Charles indagasse oltre.
« Voi Dottori e i vostri psicofarmaci. » commentò con un sorriso, rabbrividendo esageratamente per mostrare il suo ribrezzo.
« E' perfettamente sicuro. » lo liquidò frettolosamente. «Il signor Beardslee e la signora Caravan ti hanno accreditato la loro riconoscenza, ti ho trasferito i crediti sulla carta. Non dimenticarti di rimetterti la Sordina, prima di uscire. »
Charles ringraziò con un cenno del capo, estraendo poi dalla tasca il piccolo dispositivo e mostrandoglielo nel palmo della mano. Lo raccolse, e, scostandosi i capelli con cura, infilò con attenzione la minuscola Sordina nella sede sottocutanea che aveva appena sopra l'orecchio sinistro, finchè un debole bip gli comunicò che il campo soppressivo era entrato in funzione. Fece una smorfia: come se avesse avuto bisogno di qualcosa che gli facesse notare come il mondo perdeva improvvisamente tre quarti delle sue sfumature. Era una sensazione soffocante e psicologicamente dolorosa, cercare di abituarsi alla sensazione di sordità che derivava dalla perdita della sua percezione telepatica; dopo tutto quel tempo non ci aveva fatto ancora l'abitudine.
« Non ha ancora bisogno di aggiustamenti, vero? » indagò Hank, che invece di tornare a fare il suo lavoro si era fermato a guardare lo spettacolo di un telepate che improvvisamente diventava un essere umano qualunque.
« Sembrerebbe di no » rispose seccamente Charles. Il mondo era muto e opaco, e la cosa non mancava di metterlo di malumore.
« A stasera, Hank. »
Charles uscì dall'Epidauro, quasi correndo per l'Atrio dell'Ospedale, che collegava tutti gli altri reparti e trasportava i loro fetori di anestetico, e sangue, e morte, e alcol, e liquidi umani, e finalmente fuori. Dentro l'Alveare, in mezzo al chiasso e alla fretta di umani e mutanti, di cui vedeva i corpi e i colori, e ne sentiva gli odori, le voci, il calore, ma erano tutti grigi, semplici figurine.
Era quando usciva dall'Epidauro che Charles si rendeva conto che tutti loro non erano altro che api che brulicavano nel loro Alveare, impazienti di portare a termine i compiti assegnati dalla loro Regina, l'enorme elaboratore che risiedeva in una delle sale di controllo principali. Senza la Sordina non se n'era mai accorto; Charles la odiava, e aveva maledetto il giorno in cui avevano scoperto che era un telepate; in un certo senso però, era stato un modo per fargli aprire gli occhi sulla vita patetica che lui e Raven erano costretti a vivere lì. Non che il Conglomerato fosse molto meglio, ma almeno non doveva portare nessun dispositivo di soppressione -e perchè mai? Non erano previsti mutanti, laggiù. Erano riusciti a nascondersi per un po', ma la paranoia di suo padre alla fine aveva avuto il sopravvento. L'Alveare 42 era stato la soluzione più comoda e sicura, anche se per lui e per Shannon non era durata a lungo.
Era uscito un po' prima del solito, ma con i tre ospiti extra di quella sera poteva anche permetterselo. Dal lucernario superiore della piazza di snodo dove era collocata l'entrata dell'Ospedale, entrava la luce livida del mattino di una giornata miracolosamente serena. Attraversò la piazza e si infilò nel condotto di comunicazione, ignorando le piattaforme. Normalmente ne avrebbe aspettata una -a quell'ora non erano troppo affollate-, ma aveva tempo per farsi una passeggiata, ed era tanto tempo che non faceva del vero movimento fisico.
Il condotto che collegava l'Ospedale con la zona del suo Favo-dormitorio era una delle vie preferite di Charles, perchè assomigliava vagamente ad una strada dei tempi antichi: ne aveva letta una descrizione piuttosto accurata tempo prima, quando ancora lavorava alla Biblioteca, in un libro -di carta, un reperto, una cosa preziosissima; si era sentito così fortunato quando avevano avuto bisogno di qualcuno che catalogasse tutti quei codici. Scrivevano mille anni prima che nelle strade c'erano i negozi, e le persone compravano quello che volevano. Aveva dovuto cercare in un dizionario la parola "comprare", perchè, sebbene fosse usata ancora in alcuni modi di dire, nessuno aveva veramente idea di cosa volesse dire, scambiare dei beni con denaro. Era come se potesse dare tutti i crediti che avesse accumolati sulla carta in cambio di un letto nuovo, ad esempio -quello che aveva ora scricchiolava in una maniera orribile- senza dover fare una richiesta in uno dei millecinquecento uffici, ma semplicemente puntando il dito e scorrendo la tessera elettronica in un apparecchietto apposito (da come veniva descritto in alcuni libri, sembrava essere addirittura uno sport, prevalentemente di pratica femminile). Era anche vero che la burocrazia era migliorata, rispetto a mille anni fa -almeno secondo i suoi preziosi codici; cosa non avrebbe dato per poter rimanere seppellito in quella biblioteca per decenni e decenni, riscoprendo cosa voleva dire veramente vivere-, ma Charles non aveva mai potuto scegliere quello che voleva.
I locali davanti a cui camminava ora erano semplici magazzini, dove l'Alveare accumolava i beni in attesa di essere portati là dove servivano, e se Charles avesse mai fatto richiesta di un nuovo letto, sarebbero stati gli Operai addetti alla consegna che ne avrebbero scelto uno tra i tanti. Non che ci fosse molta scelta; di solito quel tipo di decisioni venivano prese da altri, il cui lavoro era esclusivamente scegliere cose per conto di altri, mentre altri ancora prendevano decisioni per loro.
Charles lavorava duramente, per poter essere in grado di prendere da sé quelle decisioni, un giorno, e anche Raven lavorava per lo stesso motivo. Non sapevano se sarebbero riusciti a ottenere un permesso congiunto per partire, ma questo non impediva loro di dare il meglio di se stessi nel loro lavoro. Guardando l'orologio, Charles si chiese se Raven fosse già in piedi, intenta a indossare la tuta da lavoro che tanto odiava, e che la normatizzava come Operaia generica; fin da quando aveva iniziato aveva cercato di farsi assegnare ad una squadra Speciale, ma evidentemente la sua mutazione era troppo versatile per essere rinchiusa in una specializzazione. Una buona cosa, pensava Charles, perchè gli Operai generici facevano lavori meno pericolosi di quelli Specializzati, ma venivano premiati con meno crediti e meno promozioni. Avrebbero dovuto stringere i denti ancora un po'.
Nel piano base della piattaforma del dormitorio le persone cominciavano a formare lunghe code verso il locale mensa, per il pasto mattutino -colazione, si ripeteva Charles, ripescando la memoria di suo padre che in una delle rare mattine di buon umore li intimava tutti quanti ad alzarsi presto e a mangiare tutti insieme, "come le famiglie dovrebbero fare", diceva- ma tra di loro non vide Raven. Tutti usavano l'ascensore per salire ai piani alti, ma Charles apprezzava la possibilità di scambiare qualche parola sulla rampa che collegava tutti i corridoi; a metà tra il quarto e il quinto piano incontrò Alex, che scendeva nel verso contrario al suo. Charles venne salutato dal ragazzo -più giovane di lui solo di qualche anno- con un cenno del capo.
« Buongiorno Alex » gli rispose Charles, infastidito dalla sensazione di non poter sfiorare la sua mente come avrebbe fatto nell'Epidauro. La sua mente gli era familiare; era uno degli ospiti più affezionati del suo reparto, perchè il suo lavoro era molto stressante, e gli incidenti che capitavano spesso uccidevano compagni del team. Charles riconobbe dalla sua espressione che probabilmente sarebbe venuto a trovarlo presto.
Quando giunse all'appartamento che divideva con Raven, erano già le sette e mezzo; se volevano mangiare qualcosa dovevano spicciarsi. Aprì la porta dopo aver fatto riconoscere allo scanner la propria carta crediti, e chiamò la sorella.
« Sono qui. Si può sapere perchè urli? E' presto! » sibilò lei con uno sguardo vagamente omicida negli occhi gialli, spuntando dal bagno con lo spazzolino da denti ficcato in bocca, e i capelli rossi ancora spettinati.
Normalmente per andare al lavoro Raven assumeva l'aspetto di una ragazza bionda dal sorriso gentile e rassicurante; a quell'ora però era ancora nel suo aspetto naturale, e sulla sua bellissima pelle blu i frammenti di sapone che non aveva spazzolato via abbastanza accuratamente spiccavano opachi e biancastri. Evidentemente si era appena alzata, ed era pure in ritardo.
Charles sapeva che si sarebbe beccato un insulto di qualche sorta se glielo avesse fatto notare, perciò si limitò a risponderle come se nulla fosse.
« Chiedo scusa. Lo sai che odio quest'affare » disse stancamente alludendo alla Sordina, mentre si sfilava il cardigan e lo buttava sulla poltrona nell'angolo. Dopodichè si gettò a faccia in giù sul letto, sospirando pesantemente.
« Cazzo, che diavolo ti prende? Tu ami il tuo lavoro. Nottata da schifo? » chiese Raven.
« Non particolarmente. Ma stamattina Hank era di cattivo umore; immagino che fosse frustrato perchè non riusciva a controllare la medicazione di una paziente. Lo sai come diventa, quando non gli viene qualcosa. » mugugnò, mezzo soffocato dal cuscino. Aveva un malditesta acquattato in qualche angolo buio della sua testa che aspettava il momento propizio per saltare fuori, e voleva dormire. Si sentiva distrutto, amareggiato e triste, anche se in realtà la nottata era andata piuttosto bene; probabilmente un incubo di uno dei suoi ospiti si era infiltrato nel suo subconscio, o qualcosa del genere. Feedback di rifiuto, come lo aveva chiamato Ricky una volta, mentre lottava contro una di quelle emicranie oscene. Lo svantaggio di essere un telepate abbastanza potente da dover indossare tutto il giorno un dispositivo di soppressione.
« Spero che tu abbia mangiato qualcosa, prima di salire. Hai intenzione di dormire tutto il giorno, immagino »
Charles rotolò sulla schiena, in modo da poter vedere Raven in faccia. Aveva un'espressione leggermente corrucciata, ma senza l'ausilio della sua telepatia non sarebbe riuscito a interpretarne le sfumature. Era probabile che fosse più preoccupata che arrabbiata, visto il contesto. Era ancora completamente nuda; distolse automaticamente lo sguardo. Raven sbuffò, e iniziò a vestirsi.
« Dormirò un po' e poi vedrò di farmi un giro. Magari vado a dare una sbirciata all'Anagrafe. »
« Giusto per farti venire il buon umore, mh? » commentò Raven sarcastica, soffocando una risatina che sembrava un grugnito.
« Stavo pensando di vedere com'è quel locale giù al Giardino Sud. Ho sentito dire che è carino, e uno dei miei ospiti ha avuto un mezzo sogno che lo riguardava. Non sembra un brutto posto. » la rassicurò Charles alla fine, alzandosi per spogliarsi decentemente.
« Come ti pare. Io vado, o Arlene mi ammazza. Non so nemmeno cosa cavolo dobbiamo fare oggi. Spero che non sia troppo uno schifo di lavoro, tipo quella volta che ci hanno fatto svuotare le fogne... non indosserò una tuta antiacido mai più. » Raven continuò a borbottare tra sé mentre gli faceva un cenno e usciva dall'appartamento. La porta si richiuse con un click. Charles sapeva che avrebbe preso l'ascensore, borbottato ancora un po', e si sarebbe trasformata, controllando nello specchio che fosse tutto a posto.
Raven odiava indossare una pelle diversa dalla sua quasi quanto Charles odiava indossare quella cazzo di Sordina.
Quando nessuno sapeva che era un telepate, in realtà odiava dover sentire i pensieri di tutti quelli che lo circondavano, soprattutto perchè durante l'adolescenza aveva avuto dei problemi a bloccare decentemente le lingue di pensiero che gli lambivano la mente. Raven allo stesso modo adorava la propria mutazione, e aveva addirittura partecipato per qualche tempo a degli incontri di sovversivi che inneggiavano ai mutanti come la nuova specie dominante, che davanti alla pioggia acida era chiaramente quella più adatta a sopravvivere, e che avrebbe dovuto lasciare la specie umana, debole e fragile, a morire corrosa sotto i liquami. Poi Shannon aveva fatto un giro sul tetto, e Raven, chiamata con Charles a riconoscere il corpo, aveva visto cosa faceva quella roba alla carne vivente, e aveva smesso di bazzicare con i Mutanti e Fieri. Una fortuna, perchè le riunioni terminarono improvvisamente e senza preavviso qualche settimana dopo.
Il vero problema dell'Alveare era la costrizione. Tutti erano liberi di fare quello che volevano, se erano stati onorati della libertà di farlo. Charles era libero di aiutare la comunità usando la sua mutazione per facilitare il sonno a coloro che erano tormentati dall'insonnia, la piaga del nuovo mondo. Era libero di scegliere cosa voleva mangiare per pranzo, e quando scendere per pranzo nell'intervallo di tempo in cui la cucina era aperta. Era libero di frequentare un locale aperto di recente. Perfino il gruppo di sovversivi era stato libero di organizzarsi perchè qualcuno aveva permesso loro di sfuggire al controllo dell'Alveare; era una libertà falsa, concessa da qualcuno che ti dava gentili spintarelle nella direzione giusta, e chiudeva un occhio sulle cose che non erano veramente pericolose, e che facevano sparire silenziosamente quelle che lo erano.
La pace regnava sull'Alveare, asettica e invisibile come una nuvola di insetticida.
Charles dormì solo un paio d'ore, come aveva predetto, svegliato di soprassalto da una minuscola scarica di statica proveniente dalla Sordina, completamente innoccua ma molto dolorosa; era già successo altre volte, quindi si tranquillizzò immediatamente non appena realizzò cosa era successo. Forse aveva veramente bisogno di una sistemata, quella roba. Se qualcosa andava storto, era il suo cervello che veniva fritto, dopotutto.
Non aveva importanza, ad ogni modo. Dormire con la Sordina inserita spesso gli garantiva un sonno senza sogni, feedback o no, e si sentiva decisamente più riposato. Erano le dieci passate; decisamente troppo tardi -o troppo presto- per mangiare qualcosa, ma avrebbe potuto ingannare il tempo andando all'Anagrafe, come aveva detto a Raven. Non ci andava spesso, sapeva che sia lui che Raven erano decisamente troppo in basso nella graduatoria per averne qualche vero vantaggio, però l'ultima volta che era salito di posizione aveva ricevuto il comodo divano che stava sotto alla finestra (era così comodo che a volte Charles dormiva su quello, invece che sul proprio letto.) Magari ora aveva abbastanza crediti per ottenere un appartamento un po' più grande. Non che lui e Raven stessero scomodi, ma un po' di spazio in più era sempre apprezzabile: in una stanza con due letti, un divano, una poltroncina che altro non era una glorificata sedia imbottita, un bagno comunicante e svariati sgabuzzini e scomparti non garantiva il massimo della privacy e della comodità.
Scelse una camicia e un paio di pantaloni, recuperò il suo cardigan, e uscì dalla stanza, controllando che lo scanner avesse riconosciuto l'assenza degli inquilini della stanza e avesse chiuso l'appartamento prima di incamminarsi verso la rampa.