http://misako93.livejournal.com/ ([identity profile] misako93.livejournal.com) wrote in [community profile] somewhatclear2012-04-27 10:43 pm

Argr

Titolo: Argr
Serie: the glaciers made you (and now you're mine) (click & click)
Fandom: Thor
Pairing: Loki/human!Svadilfari
Rating: NSFW. Circa.
Warning: norse mythology, sexual content, homophobia, internalized homophobia, mpreg, first time, slash.
Wordcount: 4125 [livejournal.com profile] fiumidiparole
Prompt: Decent
Riassunto: Loki aveva imparato ormai a convivere con il suono aspro di quella parola nelle orecchie. Continuare a sentirlo non lo rendeva più facile da digerire.
Note: Era da tanto tempo che aspettavo la mia occasione per rielaborare i miti nordici per il canon! Ah, che bella sensazione. Also, Svadilfari è un mutaforma, e in quanto tale è sensibile agli esseri che non vivono nella loro vera pelle. Di sicuro ne sa molto più di Loki. Riguardo alla parola argr (aggettivo) e ergi (sostantivo), sono dei termini nordici che denotano "effemminatezza o altri comportamenti non virili (tradotto un po' rozzamente dalla wikipedia inglese) ed erano usati come insulto. 



Argr

Loki aveva imparato ormai a convivere con il suono aspro di quella parola nelle orecchie.
Le rare volte che Thor riusciva a convincerlo ad accompagnarlo al campo di allenamento per esercitarsi con lui, erano i giovani guerrieri della corte che glielo sibilavano alle spalle, quando, costretto a battersi con loro su incitamento di Thor, li sconfiggeva con facilità. Ai banchetti le donne che subivano i suoi rifiuti. Durante le cerimonie regali, erano i consiglieri di suo padre, nella biblioteca mentre si esercitava nel seidr era il bibliotecario.


Continuare a sentirlo non lo rendeva più facile da digerire. Ogni volta era una pugnalata nel petto, uno sputo in viso, una frustata sulla schiena, un dito crudele che premeva in un livido recente, il sale nella ferita fresca. Ogni giorno diventava sempre più difficile sopportarlo.

Lo sentiva nella pelle, nella durezza della propria mascella, quando la sera si sciacquava il viso e toccava la rigidezza innaturale di giorni passati a stringere i denti contro gli insulti. Ogni accusa di ergi si accumolava negli strati di quei muscoli sottili, nella linea della guancia, nella curva della sua bocca; era uno strato di ghiaccio, una patina di sudiciume invisibile. La sua pelle non era mai stata più bianca, e più sporca.

Dicevano che fosse normale che i ragazzi giovani attirassero l'attenzione degli uomini più maturi; i lineamenti delicati della pubertà erano ancora simili a quelli delle ragazze, e per uomini di armi, induriti dalle battaglie e dalla spada, la differenza tra i due sessi in un'età del genere era lieve, o nessuna. Era qualcosa di cui naturalmente non si parlava ad alta voce, ma tutto sommato era un argomento diffuso e ben sopportato durante i banchetti, purchè la cosa rimanesse discreta, e il ragazzo in questione venisse lasciato stare. Thor stesso era stato oggetto di qualche irripetibile commento, grazie alla sua vitalità e alla sua chioma bionda, e non era raro che gli sguardi degli uomini si puntassero su di lui, mentre attraversava la sala dei banchetti per raggiungere il suo posto; poi il suo corpo si era sviluppato in quello che ora veniva cantato come quello ideale del guerriero Aesir, e i commenti erano scemati fino a zittirsi.

Loki era sempre stato più magro di Thor, e il suo volto aveva un'ossatura meno pronunciata. Forse anche perchè, una volta scoperta la sua magia, aveva deciso di lasciare da parte gli allenamenti dedicati allo sviluppo della forza bruta in favore di quelli che miglioravano la destrezza e l'abilità, il suo corpo aveva conservato una struttura più sottile e snella, facendolo apparire più fragile del suo possente fratello. Il fatto era che Loki, anche ben fuori dalla pubertà, non aveva mai smesso di avere l'impressione di essere osservato, spogliato dagli occhi di quegli uomini. Probabilmente era solo paranoico, ma l'eccitazione che derivava da quella sensazione era molto reale, così come i brividi che sentiva quando si concedeva di fantasticare, nell'intimità delle sue stanze, su quelle mani callose che gli scorrevano sul corpo.

Loki non era estraneo ai piaceri della carne, perchè in passato aveva portato a letto diverse ragazze, e ne aveva apprezzati i corpi morbidi e la pelle vellutata, l'ebbrezza della loro sensualità, quelle volte che Thor e i suoi compagni lo invitavano a bere nelle locande del piacere nelle vicinanze, dopo aver condiviso gli allenamenti con loro. Poi, un giorno Loki aveva scoperto la magia, e i suoi studi avevano finito per allontanarlo dal campo degli esercizi. Era allora che la parola argr aveva cominciato a serpeggiare sulle labbra degli uomini della corte, e Loki si era improvvisamente sentito sporco. Aveva cominciato a evitare il contatto fisico, per paura di macchiarsi di un delitto di cui si sentiva colpevole senza averlo mai commesso, se non in qualche fugace sogno inconsapevole, impedendosi perfino di lasciarsi toccare da una donna. Era arrivato a sentire ribrezzo per quelle occhiate di desiderio che tanto lo avevano eccitato in passato, perchè ora ne comprendeva la profonda ipocrisia. Come potevano apprezzare il suo corpo, ma allo stesso tempo accusarlo di ergi?

Sedeva spesso ad ascoltare Thor e Fandral vantarsi delle loro conquiste, i commenti disgustati e divertiti di Sif, Volstagg che lasciava intuire la sua parte di fortuna col gentil sesso; Loki rimaneva in silenzio, segretamente invidioso, segretamente desideroso di poter condividere qualcuna di quelle storie. Sapeva che tacere peggiorava la sua condizione: perchè non parlava delle sue vicende amorose, se non aveva nulla da nascondere? Sarebbe stato semplice confessare che era da lungo tempo che non si dedicava a simili intrattenimenti, ma nessuno ci avrebbe creduto. Quindi Loki si limitava a conservare il proprio silenzio, dando risposte enigmatiche alle domande scomode, crogiolandosi nel disagio dei curiosi.

Poi arrivò il Carpentiere. Loki non si era particolarmente interessato delle vicende che Thor e il Padre degli dei avevano portato a termine su Midgard, ma in qualche modo queste avevano portato alla distruzione del muro che separava il Valhalla da Asgard, e quindi Loki venne incaricato di controllare la gravità del danno. Risultò subito che la sua magia era troppo debole per riparare una breccia del genere; Loki non era in grado di ricostruire barriere magiche di quelle dimensioni, e il suo potere era ancora troppo giovane per essere veramente d'aiuto. Era in grado di avvertire che la fortezza si era fortemente indebolita, ma non poteva fare niente per sistemarla.

Qualche giorno dopo però, un uomo senza nome entrò ad Asgard con il suo cavallo in cerca di ristoro, e, dal momento che apparentemente si intendeva di questo tipo di lavori, offrì di ricostruire la fortificazione per un compenso modesto. Odino era stato molto contento di affidare il lavoro a questo gentile sconosciuto, almeno finchè l'uomo non disse che la modesta ricompensa consisteva nel voler Freja in sposa. Fu allora che Odino decise di imporgli una scadenza; se lo straniero avesse finito la costruzione in tre mesi, avrebbe avuto la sua ricompensa.

Loki non era il tipo da immischiarsi nelle faccende di suo padre, ma una tale ingiustizia nei confronti di un forestiero gli sembrava un abominio contro le Norne; propose quindi di lasciare allo straniero l'aiuto del suo cavallo. Venne così deciso che all'uomo sarebbe stato permesso di farsi assistere nella costruzione solo dal suo cavallo.

Ben presto ci si rese conto dell'errore terribile che avevano fatto, con quella concessione: Svaðilfari era un cavallo veramente eccezionale, con una forza straordinaria, in grado di trasportare moltissimo materiale in pochi viaggi. Era inoltre incredibilmente intelligente, e non sembrava aver bisogno di istruzioni del suo padrone per compiere il suo lavoro. Il Padre degli dei diventava sempre più nervoso di giorno in giorno, man mano che la scadenza si avvicinava, e Freja e Frejr, che si erano già convinti che la data sarebbe stata rispettata, erano diventati insopportabilmente lagnosi, in vista del terribile momento in cui sarebbero stati costretti a separarsi.

« E' tutta colpa di Loki! » pianse Freja al bachetto la sera del settimo giorno prima della fine dell'estate, il limite ultimo del tempo concesso al Carpentiere. Loki, concentrato sul suo cibo fino a un istante prima, si irrigidì improvvisamente. « Se non avesse insistito che Svaðilfari dovesse aiutare quell'uomo, non saremmo in questa situazione! Perchè devo dire addio al mio adorato fratello? » continuò la ragazza, abbracciando Frejr e seppellendo il viso nel collo del gemello. Un brusio si alzò intorno alla tavola; sembrava che tutti si fossero dimenticati che anche Loki era seduto fra loro, e borbottavano a mezzavoce insulti e calunnie sul suo conto. Ogni parola gli mandava brividi in tutto il corpo. Si aspettava che qualcuno della sua famiglia si alzasse per fermare quelle assurdità, per difenderlo. Era un principe di Asgard, dopotutto. Sapeva di non essere destinato al trono, ma era sempre figlio di Odino.

Ma Odino -suo padre- non lo difese. Lasciò che il brusio si spegnesse da solo, che gli ospiti si fossero stufati di insultarlo prima di passare ad altri argomenti meno fastidiosi, e augurò una notte serena a ciascuno degli ospiti. Si ritirò nella sala del consiglio con gli altri membri della seduta, e lasciò che i figli si ritirassero per conto loro. Mentre Thor e i suoi amici si avviavano verso qualche vicina locanda, Loki si ritirò nelle sue stanze con un peso nello stomaco.

La mattina dopo, fu incaricato di ostacolare i progressi del Carpentiere.
« Ma Padre, » cercò di farlo ragionare Loki « come posso fare? Non posso certo disfare il suo lavoro. La mia magia non è abbastanza potente, e la manovra sarebbe orrendamente controproducente. Se si accorgesse di me potrebbe offendersene, rifiutandosi di finire il lavoro, e la fortezza rimarrebbe incompiuta ».
« Forse non sarai in grado di disfare le protezioni della fortezza » ammise Odino, l'unico occhio scintillante di una luce pericolosa che Loki aveva imparato a temere. « ma potrai sempre distrarre Svaðilfari. Senza il suo cavallo sarà molto più lento nel procedere, e il muro non sarà finito in tempo». Prima che Loki potesse ribattere, Odino continuò: « Hai ancora sei giorni. Vedi di darti da fare, Loki, o la tua punizione sarà severissima. »
Loki quella notte, invece di perdere il sonno sui suoi libri, inzuppò il cuscino lacrime di rabbia.


La mattina seguente -cinque giorni alla scadenza- Loki tentò di attirare Svaðilfari con una mela di Idunn: ma il cavallo arrivò solo ad annusare le sue mani, addentò il frutto ed evitò gli incantesimi di Loki che avrebbero dovuto immobilizzarlo. Odino quella sera ignorò completamente l'esistenza del suo figlio più giovane.

Quattro giorni prima della fine dell'estate, Loki osservò da lontano il Carpentiere e il suo cavallo: lavoravano con coordinazione impeccabile, un lavoro di squadra perfettamente equilibrato, come un meccanismo ben oliato. Ma l'estate era quasi al termine, e gli stallieri avevano lasciato i cavalli di corte liberi a pascolare nei prati intorno alla reggia, perchè godessero dell'ultimo calore del bel tempo; il Carpentiere dovette fischiare più volte a Svaðilfari perchè tornasse a occuparsi del suo compito, e non perdesse tempo a fraternizzare con gli altri animali. Così quel pomeriggio assolato, Loki lo passò intorno ai cavalli della scuderia, accarezzando le splendide bestie finchè non ebbe un'idea di come funzionavano i loro corpi possenti e muscolosi.

Quella notte Loki non potè dormire. Cercò gli incantesimi adatti, si concentrò, e si esercitò finchè il suo corpo fu in grado di cambiare forma con la stessa naturalezza con cui indossava la sua tunica preferita. Entro l'alba, nei pressi delle scuderie, fu vista pascolare una splendida giumenta grigia.

La cosa che aveva sconvolto di più Loki nella sua trasformazione era che si sentiva completamente a suo agio in una pelle diversa dalla sua. Nessuno sapeva che quella giumenta era l'odiato principe argr della corte di Asgard; gli stallieri avevano perfino sacrificato una porzione della biada riservata agli animali reali per nutrire quella cavalla sconosciuta.
Sicuro nella sua identità nascosta, Loki si era lasciato accarezzare sul muso, sul collo, sui fianchi. Si era lasciato coprire di complimenti bizzarri sul suo pelo lucido, sulla sua criniera ordinata, sulla fortuna di quel padrone che chissà chi era.
Poi, persuaso dalle reazioni degli altri cavalli nei suoi confronti, si era deciso ad avvicinarsi a Svaðilfari. Il cavallo abboccò, e Loki rise, nella mente e in quel corpo diverso e ormai familiare. Cominciarono a correre; Loki si lasciò inseguire per lunghe miglia, poi si nascose e si ritrasformò in se stesso. Svaðilfari, che nel frattempo lo aveva perso di vista, e annusava disorientato l'aria, era abbastanza lontano dalla fortezza in costruzione perchè ci mettesse un lungo tempo a tornare: per un giorno, il Carpentiere si era dovuto arrangiare da solo.


La stessa cosa si ripetè il giorno seguente, e alla sera Odino si avvicinò a Loki con un sorriso e gli strinse una spalla in un gesto di affetto senza una parola. Loki nascose il proprio sorriso nella coppa di idromele che stava bevendo, beandosi dell'occhiata interrogativa che Thor gli aveva rivolto attraverso il tavolo.

Ormai il lavoro dello straniero era gravemente compromesso: ci sarebbe voluto un miracolo per tirare in piedi l'ultimo pezzo di muro in un giorno. Loki avrebbe anche potuto evitare di trasformarsi, per quel giorno, ma il dubbio cominciò a rodergli le viscere già da colazione. E se Svaðilfari avesse lavorato con la metà della sua forza fino a quel momento? Se così fosse stato, lavorando a piene forze quel giorno magari avrebbero potuto ancora farcela, Freja sarebbe stata perduta e Loki sarebbe stato orrendamente punito.

Così, nonostante Loki cominciasse a sentire la fatica, si trasformò anche quel giorno nella sua figura di giumenta grigia. Fece il suo solito giro nelle scuderie -era ormai affezionato agli stallieri e agli altri cavalli, i soli che gli avessero mai usato delle gentilezze, anche se in una forma che non riconoscevano- e poi si avvicinò al sito di costruzione.

Il Carpentiere quel giorno si era alzato presto: il muro era già molto più alto del giorno precedente, e lui e Svaðilfari lavoravano a ritmo serrato. Loki si avvicinò con cautela: il giorno precedente lo straniero aveva cercato di cacciarlo lanciandogli una pietra, e temeva che se fosse stato colpito avrebbe perso la concentrazione necessaria per rimanere in quella forma. Rimase piuttosto lontano, ma sfruttò ciò che aveva imparato cacciando con Thor, mettendosi a favore del vento in modo che il proprio odore fosse trasportato verso Svaðilfari. Funzionò: il cavallo alzò immediatamente la testa, e si lanciò al galoppo nella sua direzione. Loki fuggì e si lasciò inseguire.

Corsero per colline e pianure, lungo corsi d'acqua e il rado bosco dietro la reggia di Asgard, finchè Loki, esausto per aver usato la magia in maniera così estensiva per così tanti giorni di fila, cominciò a sentire il tremore della fatica nelle zampe. Non erano abbastanza lontani dalla fortezza, doveva resistere ancora; ma presto il suo corpo non ce la fece più. Rallentò, fastidiosamente conscio del rumore degli zoccoli di Svaðilfari dietro di lui. Così fece l'unica cosa che poteva fare: si ritrasformò e si nascose dietro un albero. Si concesse un paio di minuti per riprendersi dalla corsa: il cuore gli batteva così forte che il sangue faceva un rumore sordo nelle sue orecchie, come un tamburo colpito da una mazza morbida. Poi si rese conto che non c'era altro suono nella foresta: Svaðilfari doveva essersi fermato.

Quando si sporse dal suo nascondiglio per vedere dove si fosse cacciato quel cavallo però, una mano sbucò dal nulla e lo afferrò da dietro. Loki urlò, prima che un'altra mano soffocasse il suono. Un uomo era dietro di lui, e Loki era così terrorizzato da non riuscire a muoversi. Sentì la magia dileguarsi come acqua assorbita dal suolo assetato. Era in trappola. Era in pericolo. Il tamburo sordo nelle sue orecchie risuonava ora per la paura.
« Shh. » sussurrò lo sconosciuto dietro di lui, premendo il corpo tremante di Loki contro il suo. Loki sentiva attraverso la tunica leggera che aveva indossato quella mattina che l'uomo era completamente nudo. « Sembra che non sia l'unico a nascondersi in una forma che non è la mia, qui » disse ancora lo straniero, un sorriso nella sua voce.
« Lo sapevo, però. Il tuo odore era diverso. »


Nonostante l'uomo lo avesse lasciato andare, Loki rimase immobile mentre quello inspirava profondamente premendo il viso nell'incavo tra le sue scapole. Aveva i brividi, ma non capiva se era per paura o per cosa. C'era qualcosa che gli sfuggiva; le parole dell'uomo erano enigmatiche, ma si comportava come se lo conoscesse. A meno che...
« S-svaðilfari? »


L'uomo aveva riso, una risata che sembrava un nitrito. Era così ovvio che Loki si diede dello stupido, per non averlo intuito prima. Era innaturale che un cavallo fosse così intelligente: infatti, Svaðilfari era un mutaforma. Era lo stesso motivo per cui si era lasciato distrarre da Loki, ma non dalle altre giumente che gli avevano gironzolato intorno nei giorni precedenti. Loki era solo convinto di aver fatto un bel lavoro.

Svaðilfari era contento di aver avuto una distrazione: il Carpentiere lo faceva sgobbare come un somaro, più che come un cavallo, e lui onestamente aveva quasi avuto intenzione di rallentare da sé i tempi di costruzione, per fargliela pagare. Ma il Carpentiere era un uomo forzuto, anche senza Svaðilfari, e aveva minacciato di rompergli il collo, se lo avesse ostacolato, così almeno avrebbe avuto un buon motivo per lavorare lentamente. Svaðilfari aveva deciso di non contraddirlo.

Era ormai pomeriggio, e faceva caldo. Svaðilfari, dopo essersi scusato elegantemente per aver fatto spaventare il giovane principe, invitò Loki a sedersi accanto a lui, godendo la rara brezza che soffiava tra gli alberi, facendo frusciare le foglie, e così fecero. Con la schiena premuta contro il tronco dell'albero dietro cui aveva cercato di nascondersi poco prima, Loki -ben deciso a ignorare la nudità dell'uomo che gli sedeva accanto- fissava le foglie sopra le loro teste; il verde uniforme preso si sarebbe fuso nelle ricche sfumature dell'autunno, ma per ora il fogliame si stagliava smeraldo contro il cielo azzurro. La stanchezza per la corsa e per l'uso della magia lo facevano sentire debole. Senza che potesse farci niente, si sentì scivolare in un eusasto torpore.

Sognò. Era uno di quei sogni che si costringeva a dimenticare, che si sforzava di non sognare. Falliva ogni volta. Questa volta non fu diversa: mani callose ma gentili che gli accarezzavano la pelle, fresche e rassicuranti come la brezza in una giornata afosa, il timore iniziale, la vergogna; poi la fame. Il brivido dell'indecenza, del ricordo nei lividi lasciati da labbra avide e mani possessive, del dolore sordo dei muscoli stanchi delle gambe avvolte intorno alla vita di uno sconosciuto-

Si svegliò di soprassalto, il respiro affannoso, disfatto. Non era nelle sue stanze, nel suo letto di lenzuola fresche. Sopra di lui un soffitto smeraldo e turchese, nei capelli le mani gentili di Svaðilfari, che scorreva le dita tra le ciocche setose, cantando a bocca chiusa un motivo sconosciuto. Non aveva idea di come avesse finito per sdraiarsi sull'erba, adagiato su un fianco, ma in ogni caso la sua priorità al momento era nascondere l'evidente natura del suo sogno. Si alzò, dando le spalle a Svaðilfari, cercando di nascondere il suo imbarazzo. Il suo respiro lo tradiva.

La lingua d'argento di Loki era come diventata di pietra. Non riusciva a trovare le parole per cavarsi da quella situazione, e gli occhi dell'uomo alle sue spalle che gli bruciavano la schiena non erano d'aiuto. Aveva come l'impressione che il mutaforma potesse leggergli nel pensiero, potesse scavare nel cuore della sua essenza, scoprire i suoi più oscuri e inconfessabili segreti. In realtà, Loki sapeva che era il suo stesso senso di colpa a fargli venire quel genere di paranoie. Era abituato ad analizzare le proprie manie, da quando l'accusa di ergi lo perseguitava.

Era evidente infatti che Svaðilfari non sapesse nulla delle sue paure: anche l'uomo si era alzato, e si era avvicinato tranquillamente a Loki. Il principe lo sentì appoggiare le mani sulla sua schiena, dove la tunica si era incollata alla pelle per l'umido dell'erba e del sudore dei suoi incubi, sentì il suo bacio leggero, là dove l'ultima vertebra della schiena si univa a quelle del collo. Svaðilfari gli accarezzò le spalle, la schiena, la vita; le sue mani accarezzarono brevemente sulle sue costole e continuarono a scendere, mentre inspirava profondamente il profumo nei suoi capelli. Loki, premuto contro il suo corpo, poteva sentire l'eccitazione dell'uomo premuta contro il suo fondoschiena.
Si lasciò sfuggire un'esclamazione sorpresa e spaventata quando sentì il fruscio della stoffa che veniva scostata dalla sua carne. « NO! » esclamò Loki, muovendosi a passi decisi lontano dal calore invitante di Svaðilfari.


Si voltò a guardare l'uomo. Svaðilfari appariva leggermente confuso, mentre con una mano –Loki si rifiutò di guardare- si accarezzava distrattamente; inclinò la testa leggermente di lato, facendo cadere i lunghi capelli castani da un lato, in un movimento che a Loki ricordò molto le sembianze equine che Svaðilfari di solito portava, senza smettere di toccarsi.
Loki era tentato dall'urlargli di smetterla, di avere un po' di stramaledetta decenza. Ma in effetti lui non era in condizioni migliori: stava solo evitando di farci caso.


« Principe » esordì alla fine Svaðilfari, ponendo finalmente una pausa a quell'atto osceno « non capisco. »
« Non capisci? » chiese Loki, stringendo i pugni e sputando la domanda come se sapesse di veleno. « Cosa esattamente non capisci? Perchè io non voglia... giacere con te? Mi hai preso per argr, forse? »
Stava urlando, ma non gli importava. Nessuno li avrebbe sentiti in quel bosco. Era abbastanza lontano da palazzo.
Svaðilfari non sembrava impressionato dalla sua performance vocale, in ogni caso. Si toccò ancora distrattamente, come a soppesare il valore della sua virilità, poi parlò: « Per esseri come noi, non esiste un concetto come l'ergi, mio principe. Credevo che l'avessi capito, ormai. »


Sotto gli occhi stupefatti di Loki, Svaðilfari divenne una donna, ritornò nella sua forma equina, e di nuovo un uomo.
Il principe sapeva che la sua magia aveva delle potenzialità, ma sapeva che erano da svilupparsi tramite incantesimi e studio intenso. Quell'essere invece era semplicemente passato da una forma all'altra, come se fosse naturale come respirare. Svaðilfari sorrise di fronte alla sua sorpresa, e si avvicinò lentamente.
« Nessun genere, nessuna specie, nessun limite, mio principe. Solo te stesso. »
« Forse per te. Ma io non sono come te. » mormorò Loki, amaramente. Se solo avesse potuto scegliere la forma che voleva, non avrebbe scelto una forma che Asgard avesse considerato indegna o estranea, come lo era la sua.


Svaðilfari sorrise, e allungò una mano. Loki fu tentato dall'indietreggiare, ma rimase fermo. Svaðilfari gli sfiorò la guancia, aggrottò la fronte. Lo guardò, osservò il suo volto. Poi scosse la testa, e sorrise mesto, prendendogli la mascella in una stretta gentile. « Hai ragione, » mormorò la creatura « non sei come me; sei molto di più, mio principe. La ricerca è ancora lunga, e forse non avrai modo di scoprire la verità, alla fine. E' anche vero che non saprai mai quanto ti ci sei avvicinato, se continui a essere legato alle usanze di una specie che non è la tua. Hai ancora tanto da imparare, mio principe, ma solo tu puoi insegnare a te stesso chi sei veramente.»

Loki battè le palpebre, non certo di come interpretare le parole sibilline del mutaforma. Quello che sapeva era che era stanco di essere giudicato dalla corte. Non gli importava più di tanto, alla fine. Non aveva bisogno di mantenere un viso rispettabile, perchè non stava per diventare re. Con la sua fama già non gli avrebbero lasciato prendere nemmeno il posto di consigliere nella corte. Era solo un mago, un incantatore, uno studente di seidr, che già lo qualificava come argr senza tutte quelle preoccupazioni sulle sue preferenze tra le lenzuola.

Era stanco, e le mani di Svaðilfari erano gentili sulla sua pelle. Loki smise di resistere, e ben presto si ritrovò avvolto dalle braccia di Svaðilfari, con il viso affondato nel suo collo, la sua erezione premuta contro il ventre e contro la propria eccitazione. Era stanco, e Svaðilfari era rassicurante e confortevole. Aveva visto la tristezza nei suoi occhi, e Loki sapeva che era per lui. Quanto infatti è miserabile una creatura che cerca di essere quello che non è?

Nessun genere, nessuna specie, nessun limite. Nessuna regola. Nessun pregiudizio, nessun insulto, nessuna colpa. Solo lui. Soltanto se stesso.

Loki aveva finalmente deciso di indulgere se stesso, per una volta, ignorando la paura di essere giudicato e di essere disprezzato. La via verso l'alto era già compromessa, per lui; tanto valeva prendere la strada opposta.
L'unica paura che si concesse fu quella della propria inesperienza: paura del dolore, paura di aver interpretato male i propri desideri, paura di essere stato ingannato. Paure infondate, scoprì con sollievo mentre Svaðilfari baciava dolcemente la curva della sua gola, spingendosi a fondo dentro di lui, strappando dalle sue labbra suoni che nemmeno la sua lingua sapeva di possedere. Uno squarcio nel cielo, e con una risata Loki scoprì di non avere bisogno di andare verso l'alto, perchè lui era già lassù, e guardava tutti gli altri arrancare nel fango della loro esistenza, che non si rendevano conto che colui che disprezzavano era libero.


Libero, quando aveva creduto di essere incatenato, potente dove credeva di essere debole.

Non era amore quello che aveva condiviso con Svaðilfari quel pomeriggio afoso sotto i rami dei frassini che crescevano dietro al palazzo. Era conoscenza, e Loki ne era sempre assetato. Non avrebbe voluto lasciare il mutaforma andare via, ma sapeva che glielo doveva concedere: il Carpentiere aveva bisogno di lui.

Quella sera però, quando Loki, confinato nella solitudine della sua stanza da quello stesso regno dimentico di dovergli essere grato per averlo salvato, riprese i suoi studi di magia interrotti dalla follia di un padre che non lo considerava suo figlio, scoprì che la conoscenza non aveva piantato il suo seme solo nella sua mente.



NB: questa storia è parte di una serie. Gli episodi non sono ordinati in ordine cronologico. 

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