http://misako93.livejournal.com/ ([identity profile] misako93.livejournal.com) wrote in [community profile] somewhatclear2013-12-09 01:04 pm

Projection

Title: Projection
Fandom: Inception
Pairing: Arthur/Eames
Rating: Safe
Warning: none
Wordcount: 4073
Summary: Ogni tanto il Falsario era fatto così; aveva un bisogno fisico di sparire dai radar, per nessun motivo se non dimostrare di esserne in grado.
Non si aspettava che questa volta Eames sarebbe sparito sul serio.
Note: Fill per il prompt 84 della Maritombola 5


Quando Eames lo aveva salutato con un bacio sulla guancia dopo il caso Fannister, con il suo malconcio bagaglio a mano nella destra e un altrettanto scassato ombrello nell'altra, con quel sorriso colpevole e beffardo sulle labbra, Arthur sapeva che sarebbe passato parecchio tempo prima che si sarebbero rivisti.

Ogni tanto il Falsario era fatto così; aveva un bisogno fisico di sparire dai radar, per nessun motivo se non dimostrare di esserne in grado. Quando qualcuno spariva dalla circolazione nel loro campo di solito voleva dire che era morto, ma Eames sfidava e sfuggiva alla regola, rappresentandone la più infuriante eccezione che Arthur avesse mai incontrato.

Ogni volta che qualcuno tra le persone dei cui movimenti Arthur teneva traccia - spesso più per una personale compulsione che per una deformazione professionale - spariva, il Pointman sapeva che era giunto il momento di riaggiornare la sua cartella "Deceduti".

Ogni volta che Eames spariva, si limitava a controllare il cellulare un po' più spesso, perchè Arthur sapeva che nonostante il Falsario riuscisse a far perdere le sue tracce al punto che nemmeno il Pointman sarebbe riuscito a rintracciarlo, sarebbe stato il primo ad essere contattato quando Eames avesse avuto voglia di ritornare allo scoperto, di solito con un invito a cena via sms o una di quelle fastidiose telefonate notturne che lo lasciavano impaziente e troppo sveglio per riaddormentarsi.

Non si aspettava che questa volta Eames sarebbe sparito sul serio.

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Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che lui e Ariadne si erano visti, e fu con enorme piacere che Arthur accettò il suo invito a pranzo. Lasciava sempre a lei la scelta del ristorante, perchè sapeva che Ariadne non mancava mai di trovare posti eccellenti e di suo gradimento.

Questa volta la loro prenotazione era al Lincoln, un ottimo italiano che Arthur conosceva molto bene ma non frequentava abbastanza.

"Non ho mai mangiato qui. Com'è?" chiese Ariadne, dando una sbirciata al menù. Avvolta in un tailleur grigio chiaro, i capelli castani annodati in una crocchia elaborata in cima alla testa, era in ogni dettaglio una donna d'affari.

"Ottimo. Il servizio è sempre eccellente. Come mai hai scelto proprio il Lincoln?"

"Aveva l'aria di un posto che ti sarebbe piaciuto, e sono secoli che non mangio italiano."

Arthur ridacchiò. L'intero Lincoln Square, con le sue strutture in vetro e cemento, assomigliava molto a qualcosa che Arthur avrebbe potuto creare all'interno dell'onirisfera se avesse avuto bisogno di un dreamscape base in cui sperimentare.

"Allora, cosa mi racconti del tuo ultimo lavoro?" chiese Arthur, quando ebbero deciso cosa ordinare e consegnare le loro ordinazioni ad un cameriere indaffarato.

"E' la solita trappola per topi, ma per topi che sanno in che guaio si stanno ficcando. E' anche per questo che ti ho chiamato a dire il vero, è una bella gatta da pelare e non so bene come gestirla," ammise Ariadne, frugando brevemente nella borsa che si era portata dietro ed estraendone un piccolo taccuino pieno di schizzi e di appunti semi cancellati. "Da quello che ho capito il soggetto è militarizzato, ma l'Estrattore che mi ha assunto è un perfetto incapace. Vuole andare sotto senza neanche prendere una precauzione, qunidi se vogliamo uscirne vivi devo riuscire a progettare un diagramma che non permetta alle proiezioni di farci fuori non appena mettiamo il naso nel dreamscape."

Arthur fece una smorfia, prendendo il taccuino. "Che fastidio. Ormai a fare l'Estrattore ci sono cani e porci, forse faresti meglio a ricontattare Louis e chiedergli se ha ancora bisogno di un Architetto per la sua squadra."

Stavolta fu Ariadne a fare una smorfia. "Lo sai che tipo è Louis."

"Mi rendo conto che non è esattamente la migliore compagnia che uno possa desiderare, specialmente adesso che Arcadia ha deciso di levarsi dalla scena, era l'unica che riuscisse davvero gestirlo- ma se non altro ha un ottimo fiuto per gli affari e sa fare il suo lavoro. Basta frequentarlo il minimo indispensabile," commentò conciliante Arthur, accettando con un cenno del capo il piatto di vitello tonnato portato dal cameriere, mentre Ariadne faceva lo stesso con la sua mozzarella di bufala .

"Lo so, lo so. E' che non siamo proprio compatibili. Credo sia proprio una questione di modus operandi," continuò Ariadne scuotendo la testa e infilzando una fetta di mozzarella con la forchetta. "Sono contenta che tu mi abbia raccomandato per il caso Smith, comunque, te ne sarò sempre grata. Non credo che avrei mai ricevuto tante offerte di lavoro come ora, se non mi avessi mai presentato a Louis."

"Figurati, ti sei raccomandata da sola. Sei di gran lunga il migliore Architetto sulla piazza, adesso che Dominick si è ritirato definitivamente. Dovresti ringraziare lui piuttosto, se non ti avesse tirato fuori da quella facoltà di architettura a quest'ora saresti una di quelle tante studentesse che cercano di farsi a pezzi nello studio di qualche architetto cercando disperatamente di farsi notare, e il nostro campo avrebb un talento in meno."

Ariadne rise imbarazzata e si allungò attraverso il tavolo per schiaffeggiargli amichevolmente il braccio.

Era contento che se la stesse cavando così bene, nonostante lavorasse soprattutto da sola. Una dozzina di anni prima non sarebbe stato un problema, ma di recente la clientela preferiva assumere team già formati piuttosto che assumere membri di volta in volta, fidandosi maggiormente della chimica all'interno del team più che delle singole competenze. Perfino Arthur, che era stato uno dei primi a trasferire le sue conoscenze sull'onirinautica dalla parte sbagliata della legge, ed era uno dei nomi più famosi della scena, ultimamente faceva fatica a trovare lavoro. Non che ne avesse davvero bisogno, con la piccola fortuna che aveva accumolato nei suoi vent'anni di carriera, ma come faceva a farne a meno? Arthur era praticamente sposato al suo lavoro.

"Comunque, tornando al mio caso, non sono sicura di riuscire a costruire un labirinto abbastanza complesso per tenere a bada un così gran numero di proiezioni addestrate. Qualche idea?" riprese Ariadne.

Arthur aprì il taccuino e studiò le bozze per qualche minuto. Era un sogno a due livelli, con quello superficiale ambientato in una città moderna e quello profondo in quello che sembrava un vero e proprio labirinto di siepi. "Hai mai pensato di trasformare questa strada principale in un anello di Mobius?" chiese, puntando il dito su un lungo rettilineo in una delle piccole mappe sbozzate.

"Un anello di Mobius?"

"Esatto. Devi solo fare in modo che la fisica si ribalti di 180 gradi al momento giusto, e le proiezioni finiranno per inseguire se stesse all'infinito. Semplice ma efficace. Non è una tecnica molto diffusa perchè la maggior parte degli Architetti preferiscono non agire troppo estensivamente sulla fisica della realtà onirica, perchè in effetti corri il rischio che il soggetto si renda conto di essere in un sogno, e perchè non è esattamente facile coordinare un punto che possa essere improvvisamente ribaltato in una maniera che abbia senso, ma ne vale la pena."

Ariadne si illuminò. "Come ho fatto a non pensarci prima!? E' talmente semplice che funzionerà di sicuro. Grazie mille."

Arthur si limitò a sorridere, restituendole il taccuino.

Passarono il resto del pranzo piacevolmente, chiacchierando del più e del meno, scambiandosi annedoti sui loro incarichi recenti, discutendo delle ultime novità sul PASIV e su diversi composti messi a punto di recente, finchè Ariadne non ebbe la pessima idea di cambiare argomento.

"A proposito, è un sacco di tempo che non ho notizie di Eames. E' praticamente dal caso Fannister che non lo vedo, come sta?" chiese tranquillamente, affondando il cucchiaino nel sorbetto al limone che aveva ordinato per dessert.

Arthur si irrigidì.

Ariadne lo notò immediatamente. "E' successo qualcosa?" chiese, preoccupata.

"Non lo so, a dire il vero," ammise Arthur sottovoce, rimescolando il suo gelato distrattamente, improvvisamente inappetente. "Anche io non lo vedo da allora. Speravo di rivederlo a Murmansk per il caso di quel tizio con il buco nella gamba, visto che Dom aveva detto di aver contattato l'intera squadra ma..."

"Fannister è stato sei anni fa."

"Lo so."

"Eames non è mai sparito per così tanto tempo senza farsi mai sentire, vero?"

"No, mai."

"Arthur..."

"No."

Il Pointman sapeva cosa stava pensando Ariadne. Erano dieci anni che lavorava come Architetto, ormai, e aveva avuto tutto il tempo di imparare.

Arthur sapeva razionalmente che si stava comportando in maniera ridicola, continuando a negare l'ovvio, ma c'era qualcosa di terribile nell'immaginare Eames con una pistola alla tempia, o sul fondo di qualche fiume, o con una corda intorno al collo.

Era qualcosa di terribile che gli attanagliava lo stomaco e lo paralizzava e lo spingeva a controllare i messaggi e le chiamate del suo cellulare, che per la prima volta da tutte le volte che Eames era sparito nel nulla gli aveva fatto inviare un "dove sei?", solo per ricevere il silenzio come risposta e che gli faceva chiamare Louis, Christine, Vanessa, Marcel, Andrej, alla ricerca di un qualunque lavoro che riuscisse a distrarlo per almeno un paio di settimane.

Non lo disse in così tante parole ad Ariadne, ma le disse che non poteva pensarci. Le disse che sarebbe stato invalidare la legge per cui i cretini non muoiono mai.

Fu un errore.

Quella sera Arthur cancellò il file di Eames dal suo computer.

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Arthur si svegliò la mattina successiva con una mano calda che gli percorreva la spina dorsale con deliziosa lentezza, ma quando si voltò il viso che si ritrovò davanti non era quello di Eames.

Dovette deglutire a forza il nodo che gli si era formato in gola, sprofondando la testa nel cuscino, prima di avere la forza di alzarsi e chiedere al perfetto sconosciuto che aveva scaldato il suo letto quella notte di andarsene.

Quanto aveva bevuto la sera prima, per non ricordarsi neanche il suo nome?

Per fortuna "Nathan" non se la prese particolarmente, accontentandosi di un bacio sulla guancia e di una tazza di caffè prima di levarsi di torno con un sorriso cortese. Non se la prese neanche quando Arthur si rifiutò di tenere il suo numero di telefono e nemmeno quando gli macchiò il polsino della camicia mentre gli versava il caffè.

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"Cosa cazzo stai combinando."

Non era una domanda, notò Arthur, rispondendo al cellulare.

"Ciao Dom, hai idea di che ore siano qui? Per tua fortuna ero già sveglio."

"Onestamente non me ne può fregare di meno. Cos'è questa stronzata che ti stai ritirando dalla scena?"

"Disse il bue dando del cornuto all'asino. Non ti è mai venuto in mente che forse mi sono stancato? Magari dopo vent'anni passati a raccogliere informazioni su gente di cui non me ne frega un cazzo voglio finalmente farmi i cazzi miei."

"I cazzi tuoi? Arthur, quando vivevi con me e Mal hai tenuto resoconti dei movimenti di tutti i nostri vicini di casa, per nessun motivo in particolare, finchè Mal ti ha scoperto e ti ha costretto a smettere. Farti i cazzi degli altri per te è automatico come respirare!"

Arthur non rispose. Stava per sbattergli il telefono in faccia, quando Dom continuò.

"Hai intenzione di andare a cercare Eames, non è vero?"

"No," disse Arthur, alzandosi per guardare fuori dalla finestra Madrid che cominciava a svegliarsi con le prime luci dell'alba.

"... Sei già partito." Il facepalm di Cobbs dall'altra parte della cornetta fu così forte che Arthur avrebbe giurato di averlo sentito. "Ok ,senti ,Arthur..."

"Non ti ci azzardare. Non ci provare neanche."

"So quanto è difficile accettare una cosa del genere, Arthur."

"Lo so che lo sai, è per questo che non ti ho mai chiamato in tutto questo tempo. Sei precisamente l'ultima persona con cui voglio parlare. Adesso se non ti dispiace-"

"Mi dispiace eccome. Arthur, non puoi mollare la scena solo perchè Eames è mor-"

"Eames è solo sparito per un po'. Lo fa sempre."

"Arthur..."

Il tono di Dominick era così pieno di dolore che Arthur si sentì leggermente in colpa. Dom aveva quel tono solo quando era preoccupato a morte per qualcosa. Non aveva voluto farlo preoccupare a quel modo. "Cosa."

"Eames è sparito sette anni fa. Perchè lo stai cercando proprio ora? Cosa è successo? Parlarmi, Arthur, te lo chiedo per favore. "

Arthur esitò. Ripensò ad Eames che gli faceva l'occhiolino da dietro il bancone di un bar, che gli piantava un proiettile in corpo con un sorriso, che stendeva proiezioni con un calcio, che cambiava aspetto davanti a lui, che gli copriva le spalle durante una sparatoria, prima che Arthur ricordasse.

"Ho cominciato a vederlo, Dom," mormorò, fissando la linea dell'orizzonte che si schiariva sempre di più.

"Merda."

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Prepararsi per un'intervista di lavoro a trentacinque anni, dopo aver passato la maggior parte della propria vita a fare qualcosa che praticamente era spionaggio industriale, era davvero strano, pensò Arthur, allentandosi il nodo della cravatta in un gesto distratto.

Era stato Dom a insistere perchè si trovasse una distrazione, e Arthur aveva finito per passare due mesi a mettere insieme un portfolio di tavole e di schizzi di architettura, per poi scoprire che Cobbs gli aveva trovato un'intervista di lavoro con una sua vecchia conoscenza del college, che era diventato un architetto nel senso tradizionale in uno studio piuttosto prestigioso e che era disposto a fare un favore ad un vecchio amico.

Avevano cercato insieme di sbarazzarsi della proiezione di Eames che infestava il subconscio di Arthur, ma senza successo, e sospettava che quest'intervista fosse il modo di Cobbs per tamponare i propri sensi di colpa verso il fallimento.

Eames non ostacolava il suo rendimento sul lavoro, a dire il vero, ma Arthur aveva preferito darci un taglio. Se si fosse abituato ad avere Eames al suo fianco nei sogni, il sogno sarebbe diventato la sua realtà, e ne temeva le conseguenze.

Si lisciò la giacca con un gesto automatico e nervoso. Il completo che aveva deciso di indossare per l'intervista gli cadeva un po' addosso, ma non al punto da sembrare della taglia sbagliata. Dopo due anni era finalmente riuscito a tirarsi insieme, ma era stata comunque un'impresa recuperare il peso che aveva perso.

Per qualche ragione era più nervoso di quanto mai fosse stato prima di un'Estrazione. Si era alzato puntuale, aveva fatto colazione, si era vestito per l'appuntamento, e aveva finito per uscire in anticipo. Tecnicamente aveva pianificato di prendere un taxi per arrivare allo studio, ma siccome era così in anticipo aveva preferito fare una passeggiata fino alla fermata dell'autobus.

Non l'avesse mai fatto.

Diede un'occhiata all'orologio; erano già le dieci meno un quarto e non era neanche a metà strada. Non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare puntuale.

Maledetta Londra e maledetto traffico.

Quando pensava che il suo malumore non avrebbe potuto toccare vertici più alti, il conducente frenò bruscamente e un uomo prontamente perse l'equilibrio crollando addosso ad Arthur.

"Oops, chiedo scusa," ebbe il buon senso di scusarsi l'uomo, raddrizzandosi.

"Nessun problema," rispose a denti stretti Arthur, gettando infastidito un'occhiata distratta all'imbranato, e congelandosi sul posto quando si rese conto che l'uomo era Eames.

Eames, che non si era fatto vedere per anni, Eames, che l'ultima volta aveva visto in un sogno, Eames che perfino Arthur ormai credeva morto, rassegnato.
Se ne stava lì in piedi con un sorriso pigro sulle labbra fissando Arthur, e Arthur non poteva fare a meno di fissarlo a sua volta, talmente a lungo e talmente sotto shock che si rese conto solo distantemente di aver perso la fermata a cui doveva scendere.

"Ciao Arthur," parlò finalmente Eames, e Arthur frugò febbrilmente nella tasca destra dei pantaloni, perchè Eames non poteva essere davvero davanti a lui, ed Arthur stava avendo un attacco di panico perchè il sogno era diventato la sua realtà e non se n'era accorto, e quando finalmente riuscì a ripescare il dado truccato stava tremando talmente forte che gli sfuggì di mano, rotolando sul pavimento dell'autobus.

Fu Eames a chinarsi a recuperarlo, posandoglielo in mano e chiudendogli le dita intorno ad esso con delicatezza. Il sorriso sulle labbra era svanito, mentre sulla sua fronte era comparsa quella ruga di concentrazione che Arthur ricordava talmente bene che ogni tanto pensava di essersela inventata.

"Scendiamo alla prossima," mormorò Eames. Arthur annuì, stordito.

Fu Eames a guidarlo giù dall'autobus e nel primo caffè vicino alla fermata, a ordinare un tè caldo e un caffè forte e a guardarlo lanciare il dado truccato sul tavolino almeno quattro volte.

Cinque. Cinque. Cinque. Cinque.

Il pugno che Eames si prese fu abbastanza forte da spaccargli un labbro, anche se Arthur aveva mirato a fargli sputare almeno un dente.

"Otto anni," urlò Arthur pestando lo stesso pugno sul tavolo, mentre Eames si tastava con cautela il labbro che si stava già gonfiando. "Sei sparito per otto anni e la prima cosa che mi dici è 'ciao Arthur'?"

"Tesoro, non urlare, ci butteranno fuori," pregò Eames, tamponandosi il sangue con un tovagliolino senza scomporsi.

"Pensavo fossi morto," sibilò Arthur, nel tentativo di continuare a urlargli addosso senza attirare troppo l'attenzione. "Hai idea dello schifo che ho passato per colpa tua? Ho passato mesi a scopare gente a caso solo per odiarmi la mattina successiva, ho perso venti chili, la tua stupida proiezione mi ha reso il lavoro uno schifo di inferno al punto che ho dovuto smettere di sognare e oddio ho completamente perso l'intervista di lavoro, Dom mi ucciderà."

Erano le dieci e dieci e Arthur era così sollevato che avrebbe potuto piangere.

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Abitava in un minuscolo ex studio d'artista appena fuori Londra, e aveva rintracciato Arthur solo qualche mese prima, gli raccontò Eames mentre tracciava disegni invisibili sulle sue costole, notando quanto fossero più sporgenti di quanto le ricordasse.

Dopo Fannister, Eames era partito con l'intenzione di sparire per un po' come era suo solito, e stava per tornare sulla piazza quando era incappato in una vecchia conoscenza.

"Bachuber, sono abbastanza sicuro di averti parlato di lui."

"Friedrich Bachuber? Il falsario che era con te all'Accademia?"

"Lui. Ha progettato un colpo grosso in una esibizione privata - roba da ricconissimi insomma - e ha contattato un po' di gente del giro per sapere se qualcuno era disposto a dargli una mano. Avevo pensato di darti un colpo di telefono perchè c'erano anche Mannequin e Carte Ridge, ma poi è comparso anche lo Smutandato e ho pensato che magari un'altra volta, eh..."

Arthur ridacchiò. Aveva conosciuto gli amici falsari di Eames ad una festa di capodanno, ed era stato parecchio divertente, finchè Sansculotte non aveva cominciato a discutere di filosofia. Erano tutti troppo ubriachi per ricordarsi veramente il contenuto della discussione, ma il dibattito era stato prontamente interrotto quando Arthur gli aveva rotto il naso con un pugno, stortandoglielo parecchio. Apparentemente "lo Smutandato", come era stato risoprannominato in un momento di astio, non gliela aveva mai perdonata, e giurava vendetta ogni volta che incrociava Eames.

"...insomma, tutti si sono messi a fare le loro copie, e il gran giorno avevamo una cosa come ventisette tele pronte da sostituire. Ho quasi pianto quando ho arrotolato la mia Marthe de Florian, era quasi più bella dell'originale."

Arthur sbuffò.

"Scusa, adesso arrivo al punto. Sì insomma, a un certo punto viene fuori che il tipo che ha organizzato l'esibizione ha cambiato location perchè era diventata troppo pubblica. Quindi abbiamo rintracciato il tizio dell'organizzazione, e Bachuber mi ha praticamente assunto per un lavoretto di sotto, su due piedi-"

"Non dirmi che avete avuto un sogno condiviso con un composto da vasca da bagno," lo interruppe Arthur, con un'intuizione improvvisa.

"Ehm."

"Eames," ringhiò Arthur.

"Era l'unica possibilità! L'abbiamo scoperto praticamente un'ora prima dell'esibizione che l'organizzazione era stata cambiata! Di solito Maxime sa quello che fa, e ha cominciato da Chimica prima che diventasse una Falsaria."

"Siete una manica di sconsiderati, i composti per PASIV fatti in casa possono essere la cosa più pericolosa del mondo, sono peggio di quella merda tagliata con sedativi che ci ha propinato Yusuf quando abbiamo lavorato all'Innesto. Avreste potuto lasciarci la pelle o rimanere in coma!" gli gridò in faccia Arthur, incredulo. Non voleva neanche pensare a come avessero fatto a uscire dal dreamscape senza un calcio calibrato senza finire dritti dritti nel limbo.

"Non è morto nessuno, per fortuna," continuò Eames allegramente, apparentemente ignaro delle sue pare mentali , avvolgendogli le braccia intorno alla vita e strofinando una guancia ruvida contro l'addome, come un gatto troppo affettuoso, mentre Arthur cercava di spingerlo via. "Di noi cinque che siamo scesi quello che se l'è vista davvero brutta è stato Hedgie, ha avuto allucinazioni per giorni, apparentemente..."

"Le allucinazioni mi mancavano," replicò Arthur gelido.

"Maxime, Bachuber, Mannequin ed io abbiamo perso solo vent'anni di memorie. Niente di grave."

Neanche stavolta Arthur riuscì a fargli sputare i denti, ma in compenso riuscì a riaprirgli il labbro spaccato. Del resto l'angolo non era dei più comodi, per prendere qualcuno a pugni.

Eames e i suoi compagni erano rimasti tre anni con il resto del gruppo di falsari, avendo una specie di revival dei tempi immediatamente successivi al college, finchè Eames non aveva ritrovato la sua chip totem nella tasca dei pantaloni e aveva cominciato a ricordare. Da lì era partito un lungo e faticoso processo di recupero della memoria, durato in tutto quattro anni.

"Sono abbastanza sicuro di avere ancora buchi, ma sono cose trascurabili. Sono arrivato a Londra tre mesi fa, perchè ho chiamato la tua talpa russa e mi ha detto che eri in zona... Però ci ho messo un po' a trovarti. Non volevo esattamente piombarti in casa, ho pensato che sarebbe stato pericoloso," scherzò Eames, seduto nudo al tavolo della sua minuscola cucina mentre Arthur riempiva una borsa del ghiaccio per il suo labbro.

"Avrei cercato di ucciderti," confermò Arthur. "Nell'ultimo periodo in cui ho usato il PASIV prima che Dom cercasse di aiutarmi, ultimamente cercavo di fare solo quello. Uccidere la tua proiezione, intendo. Non so perchè, immagino che sperassi di farti sparire," concluse facendo spallucce, lanciandogli la borsa del ghiaccio.

Il silenzio che cadde dopo quell'affermazione era stranamente confortevole, pieno del ronzio del frigorifero e del quieto risciacquare dell'irrigazione automatica in giardino.

"Non hai idea di quanto mi dispiaccia, amore," mormorò Eames. Gli stava dando le spalle, ma dal suo tono poteva ricostuire la sua espressione, le labbra distese un sorriso colpevole e la ruga di concentrazione tra le sopracciglia. "Non ti avrei mai lasciato solo così a lungo di proposito, lo sai."

"La cosa peggiore è che tutti cercavano di convincermi che fossi morto" lo interruppe Arthur, prima che potesse dire altro. "A un certo punto ho cominciato a crederci."

"Oh Arthur..." cominciò Eames, ma Arthur ne aveva avuto abbastanza.

"Non cominciare con 'oh Arthur', ho passato gli ultimi otto anni a sentirmi dire 'oh Arthur'. Povero, povero, povero Arthur, che ancora aspetta il suo uomo morto, come una mogliettina che aspetta che il marito soldato torni dalla guerra, anche se in cuor suo sa che non succederà perchè è stato smembrato da una granata," sbottò, pestando un pugno sul ripiano della cucina, sentendo la voce che si incrinava come uno specchio maledetto.

Sentì la sedia stridere sulle piastrelle e i passi di Eames mentre si alzava e lo raggiungeva per stringerlo a sè. Gli era mancato il suo calore, il modo in cui una delle sue mani finiva sempre per chiudersi intorno ad una delle ossa sporgenti del bacino, mentre l'altra gli accarezzava il petto, come a calmare il cuore che batteva impazzito contro le costole, e il modo in cui lo baciava in mezzo alle scapole e sulla spina dorsale, dove la pelle svelava le ossa più che nasconderle. Non era cambiato niente, neanche dopo otto anni.

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Ogni tanto il Falsario era fatto così; aveva un bisogno fisico di sparire dai radar, per nessun motivo se non dimostrare di esserne in grado.

Arthur scoprì che era terribilmente divertente, andarsene senza dirlo a nessuno. Lasciare il paese in autostop, guidando macchine rubate, infilandosi nella stiva delle navi e degli aerei come in qualche film d'azione.

"Ecco come facevi," lo accusò ridendo, mentre osservavano la campagna irlandese stendersi davanti a loro dal retro di un carretto pieno di cianfrusaglie e vecchi mobili, con solo uno zaino in spalla, una carta di credito nel portafoglio e contante sparso in diverse tasche.

"Geniale, no? E' impossibile rintracciare qualcuno che viaggia in autostop, è per questo che i ragazzini che spariscono sono così difficili da ritrovare. Poi un sacco finiscono derubati e morti in qualche cassonetto, ma voglio vedere qualcuno che prova a derubare e uccidere uno di noi."

"Geniale, sì. E' perfino divertente."

"Chi sei tu e che ne hai fatto di Arthur?" esclamò Eames, con esagerata incredulità. "Ti stai divertendo?"

Arthur lo spinse, e Eames finì giù dal carretto, atterrando di culo sulla strada sterrata in una nuvola di polvere, con un'espressione talmente sorpresa e indignata sul volto che il Pointman non potè fare a meno di scoppiare a ridere.

"Adesso sì!" gli urlò di rimando. Eames imprecò ridendo e cominciò a correre.